Gianni Massironi e Michelangelo Antonioni

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Ci sono figure e personalità che riescono a influenzare e a impreziosire in modo del tutto unico il mondo dell’arte. Gianni Massironi è senza dubbio una di queste. Protagonista indiscusso della decima edizione del Sole Film Festival sia in veste di giurato, sia come esperto curatore della rassegna dedicata all’amico di una vita Michelangelo Antonioni. Abbiamo avuto il piacere e l’onore di rivolgergli una serie di domande.

 

Alvise Wollner: Giovedì sera ci sono state le proiezioni di Gente del Po, Ritorno a Lisca bianca, Sicilia, Noto, Mandorli, Vulcano, Stromboli, Carnevale e Lo sguardo di Michelangelo. Venerdì sera invece si è tenuta la sua lezione dedicata al maestro Antonioni. Qual è il suo bilancio dopo queste due serate e quali sono le sensazioni che questa speciale rassegna ha suscitato in lei?

Gianni Massironi: La mia valutazione è senza dubbio positiva. Ero rimasto sconcertato dal fatto che nell’anno del centenario della nascita di Michelangelo Antonioni (nel 2012 n.d.r.) il maestro fosse stato ricordato solo con una piccola mostra nella città di Ferrara. Questa rassegna organizzata da Sole Luna Festival, rende sicuramente giustizia al suo lavoro e sono davvero felice di averne preso parte. Rivedere poi a distanza di vent’anni, il mio Dear Antonioni mi ha fatto un grande effetto. Mi sono stupito nello scoprire che l’opera, come un diamante grezzo, è riuscita a non invecchiare, raccontando temi che ancora oggi sono di estrema attualità. Da un punto di vista più soggettivo però è un film che mi ha fatto percepire in maniera fortissima la falce del tempo che scorre inesorabile. Quasi tutte le persone presenti nel film, con cui ho passato momenti indimenticabili, sono oggi scomparse e rivederle sullo schermo nelle scorse ore mi ha toccato profondamente.

A.W: Qual è stato, secondo lei, il merito più grande di Michelangelo Antonioni?

G.M: Senza dubbio quello di riuscire a legare la dimensione soggettiva con quella storica. Per chi fai i film gli chiedevo? Faccio i film per uno spettatore ideale che è me stesso quando sono al massimo: così diceva. Oggi non esiste più questo rigore ma soltanto una rincorsa al peggio eppure c’è un pubblico che vorrebbe e che meriterebbe quel massimo. Michelangelo Antonioni ha avuto il merito di dare sempre il suo massimo al suo spettatore.

A.W: Cos’è cambiato dalla generazione di Rossellini e Antonioni, che lei ha conosciuto così da vicino, a quella odierna? Quali sono, per lei, le differenze con i registi del cinema italiano e i possibili punti di contatto?

G.M: La generazione di Rossellini, Antonioni e Visconti era una generazione di giganti. La nuova generazione di registi italiani è una generazione di nani dal punto di vista dell’idea di cinema che perseguono e portano avanti. Al giorno d’oggi si è persa del tutto l’idea del fare cinema. Quello che conta è la sola rincorsa sfrenata all’incasso e al botteghino. Ciò che differenzia i giganti del cinema italiano dai registi contemporanei è il fatto che loro volevano raccontare la realtà attraverso il cinema. Molti hanno paragonato La grande bellezza di Paolo Sorrentino a La dolce vita di Federico Fellini, ma è un paragone sbagliato. Fellini ha costruito un film su una realtà che conosceva e soprattutto su una Roma che esisteva per davvero. Era, in sostanza, il racconto cinematografico su uno spaccato di vita reale. Il film di Sorrentino è invece costruito su un’idea molto debole e su una realtà che non esiste poiché il mondo messo in scena dal regista è solo una pura finzione che finisce inevitabilmente nell’autocompiacimento. Il grande difetto dei registi contemporanei è quello di aver perso di vista la realtà.

 

Gianni MassironiGianni Massironi

 

A.W: Una laurea in sociologia all’Università di Trento e un diploma al Centro Sperimentale di Roma sono i passi principali del suo percorso di formazione. Ci sono degli aspetti della sociologia che ha ritrovato negli anni all’interno della settima arte?

G.M: Sarò sincero: ho deciso di fare sociologia per capire cosa volesse dire “fare sociologia”. Alla fine del mio percorso di studi però condividevo il pensiero di Benedetto Croce che definiva una scienza come la sociologia una grande americanata. Il mio primo libro doveva chiamarsi proprio “Americanate” ma alla fine l’editore si è opposto e ho dovuto ripiegare su “L’inferma scienza”. Questo per dire che nella mia vita ho usato la sociologia solo per procurarmi i soldi per lavorare nel cinema grazie a due lavori molto ben pagati che mi hanno permesso di girare il mio primo documentario. Non rimpiango per nulla la scelta di aver abbandonato la sociologia e devo dire che non ne ho più trovato traccia durante la mia carriera cinematografica.

A.W: Come ha vissuto il ruolo di giurato al Sole Luna Festival e come racconterebbe quest’esperienza?

G.M: E’ stato un ruolo classico, avevo già fatto il giurato in passato e quest’esperienza è andata molto bene. Quello che mi ha colpito però è stata la qualità di tutti i film in concorso. Io ormai non sopporto più i film di finzione, quando vado al cinema capisco dopo cinque minuti come andranno a finire. Quello che mi ha sorpreso in questa rassegna invece è stato il fatto di aver scoperto una mia ignoranza personale su una serie di tematiche globali che in realtà pensavo di conoscere. Sono rimasto molto colpito dal modo in cui questi documentari hanno rappresentato la realtà. Si dice in genere che l’arte copia la vita, io però sostengo il contrario e cioè che sia la vita a copiare l’arte. Il genere documentario, se riuscirà a proseguire sulla strada dei film presentati in questa rassegna, si potrà proporre come unica fonte di salvezza per il cinema, che sul lato della finzione sta vivendo un’inesorabile fase di decomposizione. Questi documentari regalano alla settima arte una nuova linfa proprio perché riescono a raccontare la realtà come lo facevano i grandi registi del passato. C’è stato un film, tra quelli in concorso, che mi ha colpito più degli altri. In una delle sequenze il regista algerino si trova nella piazza di Algeri e sta intervistando alcuni passanti. A un certo punto un uomo gli chiede: “Cosa diresti se fossi io a filmare te e a farti tutta questa serie di domande?” E’ praticamente la stessa scena che avviene in Professione reporter. Ancora una volta Michelangelo Antonioni con la sua arte capace di plasmare la vita, aveva anticipato ciò che sarebbe successo nel 2015 in una piazza di Algeri. Questa è per me la grandezza del cinema.

 

Alvise Wollner

 

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Sole Luna 2015



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