Il quotato artista ci mostra la disperazione dei campi profughi e tutto il Lido è invaso dai problemi della povera gente. A guardare il mondo raccontato dai film presenti alla Mostra di Venezia se ne ricava l’impressione che le élite culturali d’Europa, e di mezzo mondo almeno, siano impegnate in una lotta incessante per il rispetto della dignità degli ultimi tra gli esseri umani. Poi i film vengono venduti e un festival in fondo è un bazar: un mercato d’una decina di giorni nel quale portare “roba” da cedere al miglior offerente. Il concorso e tutti i premi possibili e immaginabili accresceranno il valore della “roba” e la mano invisibile del mercato, nell’incontro tra domanda e offerta, regolerà un consesso sobriamente anticapitalista e fieramente avverso al neoliberismo. Poco importa che la merce il più delle volte sia, al netto della soggettiva artisticità, la sofferenza degli uomini: qui si vende l’emozione della sofferenza – invariabilmente d’altri.
“L’intera vita delle società, in cui dominano le moderne condizioni di produzione, si annuncia come un immenso accumulo di spettacoli. Tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione.”
– Guy Debord, La società dello spettacolo.
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