Vincenzo Pattusi | 23 opere e un’intervista

Non è tanto “cosa stiamo guardando” ma “da dove stiamo guardando” o, per meglio dire: in quale realtà ci troviamo mentre osserviamo l’altra dimensione resa vivida dalle opere di Vincenzo Pattusi (Nuoro, 1978)? Camillo Langone ascrive il pittore (eccellente) in questione in una corrente a base regionale denominandola Gotico sardo – con Pattusi troviamo Silvia Argiolas, Antonio Bardino, Nicola Caredda, Silvia Idili, Giovanni Manunta Pastorello e Giuliano Sale. “Si può parlare oggi di pittura lombarda, veneta, toscana? Riferendosi ai secoli scorsi senz’altro, riferendosi al terzo millennio solo se dotati di una notevole capacità di arrampicarsi sugli specchi. L’identità artistica sarda è dunque un’anomalia, una controtendenza, un fenomeno che fra l’altro non ha nulla di folcloristico e di residuale vista l’eccellenza dei risultati, l’ampiezza dello sguardo, la bassa età media dei suoi pittori. Naturalmente l’architettura gotica di tante cattedrali medievali non c’entra nulla. La mia accezione di gotico somma quella di Giorgio Vasari, ossia gotico come barbarico, quella del romanzo gotico inglese (spesso ambientato sulle coste dell’Italia meridionale), ossia gotico come romantico e tenebroso, quella della sottocultura goth sonorizzata da Bauhaus, Cure, Siouxsie & The Banshees, ossia gotico come dark e ipnotico.” Che i sardi abbiano la musica nel sangue? può essere… Una musica antica e atavica, una rimembranza sensoriale che arriva da un passato dimenticato e che prende forma sulla tela in modi e stili differenti ma sorprendentemente assonanti.
Ciò che qui importa è cogliere l’originalità della visione di Pattusi, la sua grande maestria nell’invenzione di dettagli minimi: alambicchi e fantastici strumenti scientifici (ossimoro assai interessante che su tela assume il sapore d’un romanzo di Jules Verne) e immaginifici gabinetti scientifici.
Nei quadri di Pattusi pare di stare dentro a un film, all’interno d’una fantasticheria sette-ottocentesca tradotta per il grande schermo, oppure in una grapic novel di supereroi ante litteram.

 

Cinque domande a Vincenzo Pattusi

Per la realizzazione delle tue opere utilizzi modelli o immagini fotografiche, oppure ti basi esclusivamente sulla fantasia e l’immaginazione?

Faccio molta ricerca sulle vecchie immagini, oggetti, persone, immagazzino più immagini possibili; a volte prendo ispirazione dal luogo, di solito una stanza, in cui poi costruisco la scena.

Osservando i tuoi dipinti ci si domanda da dove nascano questi personaggi, alcuni ricorrenti, se da una qualche fonte letteraria o cinematografica o se, ancora, unicamente dalla tua immaginazione?

I personaggi che vivono all’interno dei miei quadri in realtà sono gli stessi che disegno da una vita, con il passare degli anni hanno cambiato aspetto ma sono sempre espressione di differenti stati d’animo; non c’è una fonte d’ispirazione precisa, il cinema come i libri e la musica contribuiscono in maniera uguale e a volte inaspettata.

Come lavori alle tue opere, qual è il tuo metodo di lavoro? Tendi a preparare dei bozzetti o lasci che tutto accada sulla tela?

Disegno moltissimo, soprattutto su delle agende che conservo da anni, mi aiutano tantissimo, nell’arrivare all’idea di ciò che vorrei rappresentare, anche se raramente faccio una bozza vera e propria del quadro, di solito lavoro subito sulla tela.

Qual è il tuo percorso artistico? Da quanti anni dipingi e disegni?

Disegno da quando ero piccolo, mi sono avvicinato tardi alla pittura, verso la fine dell’università, ho dipinto anche su muro per un po’ di tempo, ma è da circa quattro anni che dipingo esclusivamente su tela.

Quali sono o quali sono stati gli artisti o i movimenti più stimolanti per tua arte?

Ripeto, le influenze sono molteplici, ma uno su tutti Rembrandt.

 

Vincenzo Pattusi
facebook / flickr

 



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