La mano (fenomenale) di Giacomo Laser

Giacomo Laser (nome d’arte, fra i molti, di Giacomo Allazetta) forse non ha letto Merleau-Ponty. Ma Merleau-Ponty, tramite noi, sta osservando la mano di Giacomo Laser. Il breve video La mano di Giacomo Laser è già Meta prima delle modificazioni degli ordigni social in progress, che nel sussumere il calderone umano sanno d’aver posta la base come esponente e viceversa, in un circolo vizioso che nega gli “atti di significazione” e li capovolge all’infinito. L’espediente meta-filmico di Laser è un rodato meccanismo dell’ilarità. Laser è tutto meta. Parla al telefono con un amico immaginario o reale, un Paolo. Era così anche Giacomo Laser e il demone. Monologo telefonico perché il telefono è fatto d’esseri umani. Considerazione che pone Laser fra i videomaker più compenetrati del senso espressivo (Ausdrucks-Sinn) dell’hic et nunc. Licht abbagliante, fra i tanti bigotti del formalismo visivo e poster di Dziga Vertov nei recessi mnestici: caricature di Guidobaldo Maria Riccardelli con le pezze al culo. La mano di Laser disegna così bene da doverla amputare. Questa se ne fugge à la Addams a titillare il mesto organo genitale di qualche replicabile pulzella della pornografia online. Come il carnevale del naso puntuto, così la mano ricompare nel cercarsi: gaffe, giochetto, mezzuccio? L’assurdo di Laser ha già interscambiati la base e l’esponente. La sua violenza è fatta di pixel e paciose irritazioni sgrammaticate. La sua bonomia è la pregnanza simbolica della forma nel contenuto: non apparteniamo a noi stessi e tantomeno contenenti e contenuti sono proprietà. La proprietà non è un furto in Laser perché le cose non ci sono mai appartenute ed entrano nel calderone delle divinità di cui è fatta la rete. Una pedata all’autorialità. Gentile, meta-narrativa. La consapevolezza degli infiniti spazi al di là di noi stessi, nonché degli infiniti noi stessi, può essere onanismo d’accatto o figurazione espressiva. Non a caso s’indossa un completo tabacco, quasi a celebrare un’odierna messa funebre o una clownerie. Le due cose sono interscambiabili. Negli hoquetus singhiozzanti (cantus abscissus) e perplessi della musica laseriana, che non accompagna ma si tramuta in atto di significazione (Bedeutungsgebende Akten), sta tutto l’abisso interrogativo sull’handicap delle nostre esistenze schizofreniche. Che si colorano di spazio mitico.

Dario Agazzi



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