Intervista al produttore Gianluca Arcopinto

Il presente articolo è stato pubblicato su Rapporto Confidenziale numero28 (speciale 2010), pp. 86-100

all’interno di RC:speciale Et in terra pax un film di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini

 

Et in terra pax
di Matteo Botrugno, Daniele Coluccini
Italia – 2010 – Red One Digital – 89′
in Rapporto Confidenziale numero28 (speciale 2010), pagg. 96-100

 

 

Intervista al produttore Gianluca Arcopinto
di Alessio Galbiati

 

Alessio Galbiati: Inizierei quest’intervista proprio dal film che hai qui a Venezia, alle Giornate degli Autori: “Et in terra pax” di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini. Mi interessa sapere qual è stato il suo iter produttivo, come sei entrato in contatto con i ragazzi, che noi conosciamo dai loro primi cortometraggi – notati in redazione da Roberto Rippa – e dei quali siamo stati fra i primi estimatori, rimanendo folgorati dal loro stile, corti dai quali si vedevano con chiarezza le loro qualità, una grande forza. Vederli a Venezia è stata per noi un emozione grandissima, come pure il fatto che abbiano incontrato un produttore come te. Insomma, vorrei sapere come li hai incontrati.

 

Gianluca Arcopinto: Onestamente non conoscevo il loro lavoro. L’incontro è avvenuto attraverso Simone Isola (Kimera Film, produttore di “Et in terra pax”; ndr.), che è stato un allievo dell’allora primo anno del corso di produzione del Centro Sperimentale di Cinematografia. Mi ha portato questa sceneggiatura dicendomi che gli sarebbe piaciuto produrre il film. L’ho letta e l’ho trovata molto interessante, sorprendente per essere stata scritta da esordienti (la sceneggiatura di “Et in terra pax” nasce da un soggetto di Matteo Botrugno ed è firmata, oltre che da Botrugno, da Daniele Coluccini e Andrea Esposito; ndr.). A quel punto Simone mi ha dato i DVD dei loro cortometraggi, che devo dire di aver guardato con grande superficialità perché in quel momento ero già convinto bisognasse osare sulla sceneggiatura. Quindi non sono stato convinto dai lavori precedenti, ma dalla sceneggiatura, cosa che francamente mi capita raramente. È molto più facile che entri in contatto con un regista attraverso i suoi lavori precedenti o una conoscenza personale e poi decida di fare un film, piuttosto che il contrario. Fino a quando ho deciso di aiutare Simone a fare il film, non conoscevo ancora personalmente Matteo e Daniele. Poi, quando insieme a Simone ho capito quali potevano essere le dinamiche per realizzare il film, ho voluto incontrare i due registi per comprendere se fossero o meno intenzionati a collaborare con un produttore come me, che si muove fuori da tutti gli schemi, ma che è comunque un produttore.

Ci sono infatti molti registi che, forse a ragione, non ne possono talmente più della produzione istituzionale da decidere di non provare nemmeno ad entrare in contatto con questo tipo di professionalità. Io non sono un produttore come possono essere altri in Italia, ma non sono nemmeno completamente fuori dai giochi.
Ci siamo incontrati ed ho capito che loro volevano comunque fare il film e che sarebbero stati contenti di avere il mio aiuto. A quel punto abbiamo deciso di fare il lungometraggio tentando di seguire tutte le strade per fare un film di “sistema”, quindi siamo andati al Ministero, abbiamo parlato con la Rai… però ci siamo tenuti pronti ad un piano B che ci consentisse di realizzarlo a prescindere dalle risposte negative; siccome sono arrivate risposte negative, abbiamo attuato il piano B ed abbiamo fatto il film.

Lo abbiamo realizzato in una maniera piuttosto semplice: ho trovato il modo di indebitarmi ulteriormente, rispetto a quanto non sia già, per raccogliere i liquidi per fare il film e per dare un minimo di riconoscimento al lavoro di tutte le persone che hanno reso possibile “Et in terra pax”. La Kimera Film di Simone Isola ha gestito l’operazione prendendosi carico di molto lavoro, per il momento non ancora retribuito.

 

Alessio Galbiati: Ieri all’incontro con il pubblico seguito all’anteprima del film (8 settembre 2010; ndr.), hai parlato esplicitamente anche di quello che hai accennato ora, ossia delle difficoltà di molti registi nel produrre cinema, della ritrosia nel cercare la figura del produttore e le sue logiche – ed è proprio questo quel tipo di cinema che trattiamo con maggiore frequenza su Rapporto Confidenziale. Potresti illustrarci quali sono le dinamiche per arrivare a produrre un film, quali sono i passaggi, le dinamiche per finanziarlo? Quali sono state, nel caso di “Et in terra pax”, le dinamiche che vi hanno portato a realizzarlo seguendo il piano B?

 

Gianluca Arcopinto: Con Simone abbiamo capito quando il film doveva essere girato, ed essendo gran parte della troupe impegnata con i corsi del Centro Sperimentale, il tempo giusto per le riprese era durante il mese di settembre, da metà settembre in poi.

Poi abbiamo valutato quale fossa la soglia economica minima. Una volta capito che sarebbe stato possibile raggiungere questa soglia minima entro settembre, abbiamo provato a realizzare il piano A.

Abbiamo fatto la domanda di finanziamento al Ministero, ed io ho provato a parlare del film in Rai. Sia la risposta del Ministero che quella della Rai sono arrivate quando oramai avevamo già iniziato le riprese, quando già ci eravamo messi a lavorare con le modalità ed i tempi del piano B, che a quel punto è stato il metodo che abbiamo forzatamente scelto per realizzare “Et in terra pax”.

 

Alessio Galbiati: Nell’incontro col pubblico hai detto che è la prima volta che ti capita di vedere che gli studenti di un intero anno del Centro Sperimentale costituiscono una società per realizzare un lungometraggio. Volevo capire la tua valutazione dell’accaduto, se pensi che questa modalità possa essere una delle soluzioni possibili per muoversi nel panorama cinematografico italiano. Se riuscire a costituire una società, una squadra di lavoro così forte e coesa, composta da persone che hanno tutte un unico obiettivo, fare il cinema, non sia una condizione importante per provare ad andare avanti; se non ritieni che l’atomizzazione delle persone, l’individualismo che comunque muove il singolo sceneggiatore, regista o attore, non sia in ultima analisi una, al di là dei limiti economici e di sistema, una delle cause dei problemi del cinema italiano contemporaneo?

 

Gianluca Arcopinto: Sono molti anni che penso che uno dei ruoli principali delle scuole di cinema sia quello di aiutare ad incanalare gli entusiasmi in una forza sola.

 

In Italia non c’è mai stata una scuola dalla quale sia uscito un modo di fare cinema come scuola. Forse solo l’esperienza della Gaumont è stata in grado di farlo, pure se col tempo è andata frastagliandosi nei risultati, ma in quei due-tre anni di esperienza sono usciti tanti registi e produttori. “Il” produttore direi, perché da quel percorso è nato Domenico Procacci, ma poi pure Piccioni, Grimaldi, Carlei, come pure sceneggiatori e così via… Tutte persone, e professionalità, riconducibili alla scuola Gaumont…

Questo al Centro Sperimentale non è mai successo, in nessuna stagione.

 

Insegnare è per me l’attività più entusiasmante. Insegno al Csc dal 1991, tranne un momento in cui, dal 1994 al 2000, per alternanze di governo e di legami del Centro col mondo della politica (io non sono però riconducibile ad alcuna fazione, pur essendo molto schierato), sono stato messo fuori… Insomma, da quando insegno al Centro ho sempre provato a spingere gli allievi ad unirsi e farsi forza. Ad esempio la Indigo Film di Nicola Giuliano e Francesca Cima nasce per certi versi da un mio input, quatto dei fondatori su sei erano infatti studenti del mio corso, che per certi versi è stato mitico.

 

Ritengo che questa sia una strada che porta a dei risultati. Credo che il grande vantaggio di situazioni come quelle di una scuola è che hai 20, 30, 40 persone che sognano e vogliono fare cinema. Se tu riesci a metterle insieme, anche trasversalmente, e quindi non solo quelli impegnati nella produzione ma pure gli altri, questi si aiuteranno e si proteggeranno a vicenda.

 

Io oltre ad aver fatto esordire tanti registi, ho fatto debuttare tanti direttori della fotografia, tanti tecnici. Credo che il modo migliore di collaborare sia tra simili. Non ho mai voluto cedere all’equazione che prevede il mettere accanto al regista esordiente il direttore della fotografia con esperienza, che è una cosa che può funzionare in linea di principio, ma che non è corretta. Io preferisco una vicinanza anche anagrafica, posto che qualunque direttore della fotografia esordiente ha più esperienza di un regista esordiente. Se si riuscisse a convogliare fra loro tante professionalità che hanno voglia di fare, di andare avanti, che nei primi anni possono aiutarsi a vicenda – magari coinvolgendosi reciprocamente in altri progetti – senz’altro le cose andrebbero un po’ meglio.

 

Questa notte ho fatto mente locale sulla mia esperienza dentro al Centro Sperimentale di Cinematografia – dapprima da allievo, passando al consiglio di amministrazione, diventando quindi docente, produttore esecutivo. Al Centro sono entrato nel 1983 e praticamente non ne sono mai uscito. Dal 1983 non era mai successo, e non era mai successo nemmeno prima, che gran parte di una classe costituisse una società per fare un film, riuscendo a realizzarlo davvero questo film.

 

Ci sarebbe da interrogarsi però sul ruolo del Centro Sperimentale in una esperienza del genere, perché il sogno sarebbe quello che il Centro Sperimentale spalleggiasse una produzione che avviene con queste modalità, ma qui si entra in una delle tante storture di questo paese. Dal momento che il centro si è dotato di una società di produzione interna, che ragiona un po’ come una società di produzione “normale”, non riesce a ragionare nella maniera che io riterrei più opportuna. Con il Centro, per “Et in terra pax”, non c’è stato alcun rapporto istituzionale e niente è stato fatto grazie a loro, tant’è vero che ieri alla proiezione il Centro Sperimentale non c’era nessuno di loro.

 

Alessio Galbiati: Ora sei a Venezia con “Et in terra pax”, mentre il mese scorso eri a Locarno con “Pietro” di Daniele Gaglianone, due film diversi. Qui a Venezia hai due esordienti, mentre Gaglianone ha realizzato con te la quasi totalità dei suoi film…

 

Gianluca Arcopinto: Da quando ha esordito nel lungometraggio, direi proprio tutti. Con “Pietro” è giunto al suo terzo lungo (“I nostri anni” del 2001 e “Nemmeno il destino” del 2004; ndr.), realizzandoli tutti con me, come pure il documentario “Rata nece biti!” (2008; ndr.) – anch’esso lungo.

 

Alessio Galbiati: Dalla visione dei due film traspare una comune visione dell’Italia contemporanea, o comunque una narrazione assai prossima, contrapposta a quella alto borghese dei “figli di papà” con le sue storie ambientate in appartamenti meravigliosi, che narra di posticce vicende dolorose. La domanda è: consideri questi due film come un qualcosa di vicino l’uno all’altro, sono cioè un tuo discorso sul cinema italiano di oggi oppure ogni film rappresenta sempre una casualità? Detto in altri termini: Arcopinto è un produttore-autore?

 

Gianluca Arcopinto: In maniera estremamente presuntuosa ho sempre pensato che il produttore in realtà sia un intellettuale e che dunque invariabilmente intervenga sempre nelle scelte. Interviene nella vita di un film, scegliendo sempre cosa fare e cosa non fare, quindi con un peso sempre importante. Chiaramente dal punto di vista dell’istinto sono molto più interessato al mondo raccontato da “Pietro” e da “Et in terra pax” che non al mondo raccontato dai film di, tanto per fare due nomi, Ozpetek o Muccino, due registi che stimo in maniera diversa, ma che non penso siano il male del cinema italiano. Il male del cinema italiano sta da altre parti.

C’è anche però da aggiungere un’altra cosa: obiettivamente è difficile che chi vuole raccontare “l’altra parte” venga da me. Io non li cerco ma nemmeno loro cercano me. Siccome molti miei film sono questo, sono cioè i pescatori di “Tornando a casa”, gli albanesi di “Saimir”, sono i pastori di Mereu… si pensa che Arcopinto tratti unicamente un certo tipo di storie e di realtà. È vero però che a me piacerebbe fare ogni tanto una commedia, mi piacerebbe anche indagare “l’altra parte”, solo che mi capita molto raramente di poter realizzare quest’altro tipo di cinema.

In fondo faccio un cinema che è molto limitato e molto limitante. Quindi chi vuole spaziare non mi prende in considerazione, è normale.

 

Alessio Galbiati: Viene quasi da definire mitica l’esperienza che hai avuto con la Pablo film, cioè un tentativo di agire nel settore più complicato, quello della distribuzione. Cosa pensi di fare ora? Qual è la situazione e quali pensi possano essere gli spiragli per cambiare qualcosa? Non ritieni che la rete, il web, possa in un qualche modo aiutare il cinema a circolare, ad essere visto presso un numero maggiore di persone?

 

Gianluca Arcopinto: È importante da tutti i punti di vista che esista la rete. Credo sia importante ragionare sui modi in cui la rete possa far circolare i film ma c’è, però, un enorme problema di fondo che dovrà essere in qualche modo risolto. Per fare un film, anche il più piccolo, c’è bisogno di denaro e per fare in modo che chi ha fatto un film possa fare anche il successivo, l’obiettivo deve essere quello di raggiungere almeno il pareggio di bilancio, più uno. È fondamentale avere come obiettivo quello di arrivare a quel risultato.

 

La rete oggi è una giungla. Non sono i prodotti di cui stiamo parlando quelli che arrivano a trovare denaro sulla rete. Sicuramente la rete è però già da tempo una valvola di sfogo non indifferente. Provocatoriamente sto lavorando da qualche tempo all’ipotesi di far vedere direttamente i film sul web gratis, ma in maniera però corretta. Vorrei aprire una sorta di cinema virtuale in cui si va gratis, però con alle spalle un discorso molto più complicato che strutturi questa concretizzazione come un percorso che porti ad altro, che la visione gratuita sia uno strumento per un qualcosa di successivo e non un fine.

 

Alla domanda invece su cosa succede a livello distributivo e quali sono le vie d’uscita io credo che non vi siano soluzioni. Credo che dobbiamo essere tutti estremamente consapevoli che la guerra è persa, e che ogni giorno che passa è ancora più persa.

Detto questo, io continuo a pensare che è necessario continuare a fare il cinema che ha perso la guerra e credo che sia necessario trovare nelle macerie di questa guerra un sistema per andare a trovare i talenti del dopoguerra: Ribadisco: di una guerra perduta.

 

L’Italia è un Paese che ha perso molto guerre, che ha attraversato molti dopoguerra, ma questo, a differenza degli altri, non ha alcun aiuto e soprattutto non ha un orizzonte (???). In questo momento non c’è alcun futuro per questo tipo di cinema. Però credo che bisogna continuare ad insistere e non escludo che con qualche film tornerò ad inventarmi qualcosa a livello distributivo. Non lo farò più in maniera sistematica perché non ci sono più gli estremi per farlo ma, per esempio, se “Et in terra pax” non trovasse uno sbocco distributivo ordinario, sarò io stesso a trovarglielo e costruirglielo; esistono ancora dei cinema che possono proiettare i film ma in un’epoca in cui si vedono i film sui telefonini, si scaricano film che si vedono male e si sentono peggio, io penso che bisognerà pure oltrepassare alcuni formalismi ed inventarsi percorsi nuovi… È chiaro che il sogno è quello di fare film in pellicola che si vedano con una buona immagine ed un buon audio però, se l’unica strada per fare questo vuol dire diventare invisibili…
Se pensi a un territorio come il Salento, dove da Lecce a Leuca si contano solo tre schermi… Allora io sono disposto a portare i film nelle biblioteche, negli atri dei musei, perché comunque la forza che ancora ha questo tipo di cinema, anche se l’istituzione ci dice il contrario, è che esistono ancora persone che lo vogliono vedere. Il problema è che, nella stragrande maggioranza d’Italia, non si sa più che questo tipo di cinema esiste ancora. Se non ci fosse qualcuno che lavora per far sapere dell’esistenza di questo cinema, che ci gioca, allora tutto sarebbe perduto.

 

Detto questo, io non sono per niente fiducioso. Io sono terrorizzato dall’epoca che viviamo, non solo rispetto al cinema, ma su tutto. Sono consapevole che i miei tre figli non hanno un futuro, ma la necessità è che comunque si faccia in modo che anche un bambino di otto anni possa avere un futuro che in questo momento non ha. C’è gente che a trent’anni già non ha più futuro, a vent’anni non ha più un futuro, a otto anni non ha più un futuro.

 

I problemi sono ben più grandi di quelli legati al cinema; ho sempre pensato che il cinema sia una cosa importante e vitale, però c’è molto altro di ben più preoccupante.

 

Alessio Galbiati: Il cinema in fondo vive le stesse dinamiche di tutto il resto. Forse non è un caso che ci troviamo a fare questa intervista di fronte alle rovine ed al cratere della “cricca”… i lavori sospesi per il nuovo palazzo del cinema…

 

 

Venezia, 9 settembre 2010

 

 

Gianluca Arcopinto Filmografia

 

[p] : produttore
[pe] : produttore esecutivo
[cp] : coproduttore
[lp] : line producer

 

2010

Et in terra pax [p]
di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini (opera prima)

La città invisibile [pe]
di Giuseppe Tandoi (opera prima)

Notizie degli scavi [p]
di Emidio Greco

Pietro [p]
di Daniele Gaglianone

Tarda estate [p]
di Antonio Di Trapani e Marco De Angelis (opera prima)

 

2009

La prima linea [pe]
di Renato De Maria

Mille giorni di Vito [doc] [p]
di Elisabetta Pandimiglio

Sogno il mondo il Venerdì [p]
di Pasquale Marrazzo

 

2008

Non lo so [p]
di Alessandro Di Felice e Cristiano Di Felice (opera prima)

Rata nece biti! [doc] [p]
di Daniele Gaglianone

Sonetáula [p]
di Salvatore Mereu

Tutto torna [p]
di Enrico Pitzianti

 

2007

Taccone – Fuga in salita [doc] [p]
di César Augusto Meneghetti e Elisabetta Pandimiglio

 

2006

Bambini [p]
di Alessio Maria Federici, Peter Marcias, Andrea Burrafato e Michele Rho

 

2005

C’è un posto in Italia [doc] [p]
di Corso Salani

Craj – Domani [doc] [p]
di Davide Marengo (opera prima)

La persona di Leo N. [doc] [p]
di Alberto Vendemmiati

Nessun messaggio in segreteria [p]
di Paolo Genovese e Luca Miniero

Nichi [doc]
di Gianluca Arcopinto [p]

 

2004

Forse sì… Forse no… [p]
di Stefano Chiantini (opera prima)

L’unica testimone [p]
di Francesca Romana Del Sette

Motoboy [doc] [p]
di César Augusto Meneghetti e Elisabetta Pandimiglio

Movimenti [p]
di Serafino Murri e Claudio Fausti (opera prima)

Saimir [p]
di Francesco Munzi (opera prima)

Sogni di cuoio [doc] [p]
di César Augusto Meneghetti e Elisabetta Pandimiglio

 

2003

Ballo a tre passi [p]
di Salvatore Mereu

Nemmeno il destino [p]
di Daniele Gaglianone

Palabras [p]
di Corso Salani

 

2002

Cecilia [p]
di Antonio Morabito (opera prima)

E.A.M. – Estranei alla Massa [doc] [p]
di Vincenzo Marra

Pesci combattenti [doc] [p]
di Daniele Di Biasio e Andrea D’Ambrosio

Piovono mucche [p]
di Luca Vendruscolo (opera prima)

Vecchie [p]
di Daniele Segre

 

2001

Domenica [p]
di Wilma Labate

Giravolte [p]
di Carola Spadoni (opera prima)

Figli/Hijos [pe]
di Marco Bechis

Delitto sul Po [p]
di Antonio Rezza e Flavia Mastrella

Incantesimo napoletano [p]
di Paolo Genovese e Luca Miniero (opera prima)

 

2000

Fuori di me [p]
di Gianni Zanasi

Girotondo, giro attorno al mondo [p]
di Davide Manuli

Grazie novellino [doc] [p]
di Gianluca Arcopinto

I nostri anni [p]
di Daniele Gaglianone (opera prima)

Sangue Vivo [pa]
di Edoardo Winspeare

Occidente [p]
di Corso Salani

Sono positivo [p]
di Cristiano Bortone

 

1999

Come te nessuno mai [pe]
di Gabriele Muccino

Un amore [p]
di Gianluca Maria Tavarelli

Piccole cose di valore non quantificabile [p]
di Paolo Genovese e Luca Miniero (opera prima)

Senso unico [cp]
di Aditya Bhattacharya

 

1998

Ecco fatto [p]
di Gabriele Muccino (opera prima)

Interferenze [p]
di Cesar Augusto Meneghetti e Elisabetta Pandimiglio

 

1997

Cosa c’entra con l’amore [p]
di Marco Speroni

 

1996

Baci proibiti [p]
di Francesco Miccichè (opera prima)

Il caricatore [p]
di Eugenio Cappuccio, Massimo Gaudioso e Fabio Nunziata (opera prima)

 

1995

Pugili [p]
di Lino Capolicchio

BSR: The Trash Movie [cp]
di Miki Emmerich (opera prima)

Il cielo è sempre più blu [lp]
di Antonello Grimaldi

Sayariy [doc] [pe]
di Mela Márquez (opera prima)

 

1994

Nella mischia [p]
di Gianni Zanasi (opera prima)

 

1992

Burattini! [doc] [p]
di Stefano Landini

Dall’altra parte del mondo [p]
di Arnaldo Catinari

El infierno prometido [pe]
di Juan Manuel Chumilla (opera prima)

Non ho parole [p]
di Pasquale Misuraca

 

1989

W Verde [p]
di Ennio Marzocchini (opera prima)

 

 

REGIA

2007 – Angeli distratti [doc]

2005 – Nichi [doc]

2000 – Grazie novellino [doc]



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