Il serial cinematografico degli anni dieci: LE SERIAL QUEEN
di Alessio Galbiati
Il saggio in questione è stato pubblicato da RC nei seguenti tempi e modi:
prima parte / numero2 – febbraio 2008
1. SERIALITÀ / 2. LA DIMENSIONE FATTIVA DEL TESTO SERIALE
seconda parte / numero3 – marzo 2008
3.IL SERIAL CINEMATOGRAFICO AMERICANO DEGLI ANNI DIECI
terza parte / numero4 – aprile 2008
4.NEW WOMAN E SERIAL QUEEN / 5.IL CLIFFHANGER / 6.CONCLUSIONI
appendice / numero5 – maggio 2008
BIBLIOGRAFIA / SITOGRAFIA / FILMOGRAFIA
Vorrei spendere due parole sui motivi che mi hanno spinto ad indagare un argomento tanto insolito e lontano nel tempo. L’approfondimento nasce da una parte perché reputo decisamente interessante il ruolo emancipato delle protagoniste di questi strani oggetti mediali, che pongono la donna al centro dell’azione, essere autonomo ed indipendente capace di fronteggiare ogni pericolo con una grinta ed una forza non tanto simile o equiparabile a quella (ipotetica) maschile, ma in grado di definirsi in maniera autonoma e singolare; questi oggetti ricordano a noi contemporanei quali e quante difficoltà hanno dovuto incontrare le donne per raggiungere quest’attuale parvenza di “pari opportunità”. Da Peal White a tutte le variazioni sul tema è possibile ricostruire una storia al femminile delle protagoniste cinematografiche che le congiunge con le varie Uma Thurman o Lee Young-ae. E poi c’è la questione del “serial” che dall’inizio del nuovo millennio pare essere una delle più inebrianti e rivitalizzanti novità di quell’immagine in movimento attenta all’intrattenimento ed alla fideizzazione del proprio pubblico. Questo continuo vergare, da parte della critica, dei blogger e quant’altro, entusiasti e innocenti articoli che attestano l’incredibile novità messa in campo dal serial contemporaneo non è altro che un chiaro ed evidente manifesto di scarsa conoscenza della storia dell’immagine in movimento, o volendo allargare ancor più il discorso, della cultura tout court. La serialità è una delle strutture narrative più antiche che conosciamo e dimenticarsi della sua storia è un errore piuttosto grave, le cui conseguenze condannano la Critica all’oblio della novità da inseguire a tutti i costi con cieco ed ottuso entusiasmo.
Prima dell’oggi c’è invariabilmente uno ieri, un’altro ieri, ed un’altro ieri ancora più lontano che, solo scavando fra la documentazione delle epoche passate, possiamo provare a riportare a nuova luce, così da poter rischiarare l’oggi che più d’ogni altra cosa ci sfugge.
Questo testo (o ipertesto, o accumulo di pensieri – altrui) non avrebbe mai visto la luce senza il faro della passione di Monica Dall’Asta, alle cui lezioni sul tema in questione ebbi modo di assistere duranti gli anni bolognesi d’università). Queste pagine hanno lo scopo di rendere disponibile in lingua italiana alcuni aspetti della storia del cinema di non così facile reperibilità.
Molti dei serial citati sono visibili online in quanto posti sotto regime di Public Domain.
Alessio Galbiati
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“Con la sua gonna di lana scozzese, la sua camicetta larga e il suo gran berretto di velluto, ella riassume l’ideale di una gioventù tutta presa d’avventura. Gli adolescenti – e anche i signori di età matura – sognano davanti alla sua fotografia. Le sartine la copiano per acconciarsi i capelli e adottano il berretto ‘alla Elaine’. È la prima volta, notiamolo, che un’artista del cinema provoca presso le figlie d’Eva un importante movimento di imitazione”.
– Marcel Lapierre (1)
Vorrei in queste pagine parlare di un prodotto della serialità cinematografica che si è venuto configurando entro il contesto produttivo della nascente industria cinematografica americana degli anni dieci: il serial. Più specificamente vorrei mettere in luce quei tratti caratteristici di queste moderne fiabe metropolitane (a puntate) in grado di evidenziare le interconnessioni attuate fra media differenti al fine della promozione del prodotto cinematografico.
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1. SERIALITÀ
Quale primo passo da compiere vorrei cercare di chiarire/ chiarirmi quale sia il territorio entro cui mi sto accingendo ad entrare; la serialità è un concetto multisfaccettato che necessita un’attenta e ponderata delimitazione.
La serialità non risponde soltanto all’esigenza, tipicamente industriale, di ottimizzare il rapporto tra risorse produttive e pratiche del consumo: essa si sviluppa anche in una modalità di narrazione immersiva assai prossima alle forme comunitarie premoderne di esperienza della vita, recuperando su un piano simbolico ciò che il Moderno ha estromesso dall’ordine del discorso (2). La produzione seriale dei testi narrativi, dunque, innescandosi fin dagli albori dell’industria culturale (3), soddisfa il bisogno dell’individuo di connettersi all’idea collettiva di realtà in un mondo che la modernizzazione ha privato dei consueti meccanismi di socializzazione. Nella sua tendenza alla “ripetizione”, ripetizione ossessiva di luoghi e figure del racconto, cogliamo non tanto il decadimento della creatività individuale bensì le funzioni comunicative, quelle simboliche e le derive mitiche della ritualità.
In questa prospettiva, la serialità è una delle categorie della modernità al pari del montaggio (4). Come il montaggio, essa influenza il nostro modo di vivere ordinando l’esperienza caotica del mondo metropolitano in un quadro di continuità e coerenza. La sua presenza entro il sistema mediatico cresce in coincidenza con la sua espansione e la sua incidenza sociale cresce nel tempo: dalla periodicità diradata della stampa popolare passando per le dinamiche serratissime delle firme dei feuilleton (primo importante snodo verso le forme moderne della serialità) fino alla rigida organizzazione quotidiana della radio.
In tale contesto socioeconomico, la serialità costituisce la soluzione strategica attraverso cui la trasformazione dei rapporti produttivi operata dai processi di industrializzazione trova una sua adeguata forma di traduzione sul piano dei rapporti sociali e della loro rappresentazione attraverso i linguaggi espressivi: in altri termini, il riconfigurarsi stesso del territorio di queste metropoli americane d’inizio secolo intorno al modello della fabbrica, istituisce un principio “seriale” di realtà, in cui il racconto sociale si compie nelle narrazioni sinergiche di informazione e fiction.
Nel quadro strategico dell’industria culturale, fin dalle origini, ogni racconto lungo tende a farsi seriale, ovvero a inserirsi in una catena narrativa costantemente ordinata e scandita dall’avviso di servizio “continua”. “To be continued” restituisce meglio il tono imperativo della serialità, che è assolutamente necessario che continui per dare senso al racconto che costruisce socialmente la realtà e restituisce il significato profondo delle sue trasformazioni, tenendo insieme le “fratture” generate dal passaggio da una fase all’altra dell’identità moderna, dei suoi transiti tecnologici e comunicativi. Non si può, infatti, comprendere la serialità senza considerarne i passaggi di stato, per lo più legati all’emergenza delle nuove tecnologie della comunicazione.
La serialità della letteratura di genere, del fumetto o del cinema è diversa da quella della televisione e, ancor più, dalle dinamiche dei nuovi media, demassificanti e individualizzati, poiché diversi sono i territori umani e gli immaginari, i soggetti ed i vissuti, le relazioni e le classi, i rapporti produttivi e sociali che tali linguaggi sottendono.
La serialità del cinema (5) è quella della “fabbrica dei sogni”, con le sue modalità di organizzazione dei nessi tra istituzioni e ruoli individuali, mentre la serialità della televisione apre già una frattura nello spaziotempo metropolitano classico – frattura che la neo e la post televisione tradurranno in una consapevolezza diffusa del passaggio epocale verso l’età tardo-industriale.
La serialità televisiva si differenzia radicalmente da quella cinematografica: prima delle serie tv, la serialità è garantita dal corpo stesso delle star hollywoodiane (la star non tradisce il proprio statuto per continuare a darsi come oggetto serialmente riconoscibile e in grado di ricondurre ogni racconto cui partecipa al quadro generale della serie) (6). E ancor prima dello star system saranno le serial queen a catalizzare le aspettative del pubblico. Tuttavia, se guardiamo alle trasformazioni, anche di “dimensione”, che hanno avuto luogo nel piccolo schermo televisivo, notiamo che il pubblico non si identifica più nella trascendenza e nella monumentalità della star, ma piuttosto nella rete di relazioni e conflitti tra i personaggi della fiction seriale lunga. Personaggi che, destituiti della sacralità dello star system, si avvicinano a noi per dimensioni fisiche e per modelli di comportamento, fino a coincidere esattamente con noi nella figura del concorrente del reality show alla “Grande Fratello”, che dimostra come la serialità non affianchi la nostra esistenza ma la comprenda e, per molti versi, la fondi.
Alle origini del cinema delle origini, o del cinema primitivo (7), il catalogo dei fratelli Lumière, che copre un periodo che va dal 1897 al 1907, è organizzato per serie tematiche che riuniscono le singole vedute sotto titoli d’insieme: Vues comiques, Voyage de M. le Président de la republique française en Algerie, Exposition Universelle de Paris 1900…, da notare il fatto che ogni singola veduta è numerata: dalla 1 (Assiettes tournantes) alla 2023 (Le Moustique Récalcitrant) (8).
La storia del cinema intrattiene con il concetto di serie, o comunque di concatenazione fra elementi singoli, una ampissima gamma di rapporti.
La serialità sembra resa possibile dalla presenza di una successione, da un processo di enumerazione, dal formarsi di una qualche lista […] Dunque c’è ancora della ripetizione, magari in una veste debole, ma essa funziona come semplice prerequisito di una dislocazione lineare; c’è un ritorno del medesimo, o almeno di qualcosa che ha la stessa aria di famiglia, ma c’è soprattutto il crearsi di un gruppo omogeneo, di una collezione di casi. Il problema è allora di capire qual è il principio di ordine sotteso ad una simile lista. In particolare c’è da chiedersi se essa preveda il divenire e non ricorra piuttosto alla somma; se si apra ad uno sviluppo e ad un progresso, o non esibisca invece uno slittamento di post, un affiancarsi delle varianti; se insomma possegga una temporalità, o non conosca che la spazializzazione. (9)
Utilizzando l’analisi delle tipologie della ripetizione fatta da Umberto Eco (10) possiamo meglio collocare l’oggetto in questione: «La serialità tipica della produzione industriale, (…), riguarda (…) la produzione su larga scale di repliche dello stesso tipo, una assolutamente fungibile all’altra, così che per una persona normale, dalle esigenze normali, in assenza di imperfezioni evidenti, sia la stessa cosa scegliere una replica piuttosto che un’altra». (11)
Entro quest’ottica due copie del medesimo film vengono a configurarsi quale prodotto seriale. Oltrepassando questo primo livelli d’analisi Eco propone una tipologia della ripetizione con una forma esterna di un albero a disgiunzioni che rappresenta un tentativo di tipologia della ripetizione in ambito televisivo e cinematografico.
Egli individua cinque forme di ripetizione: la ripresa, il ricalco, la serie, la saga e infine il dialogismo.
Tutti i tipi individuati da Eco toccano in realtà aspetti della questione presa in esame in questo lavoro, ma per il quale utilizzeremo unicamente quelle categorie dove l’aderenza appare immediata (risulterebbe troppo complicata una lettura dei rimandi dialogici innestati dall’analisi d’un testo seriale).
1. La ripresa: è la riproposizione di un tema di successo ovvero la continuazione.
2. Il ricalco: che può essere nella forma di remake (esplicito o implicito), omaggio, ricalco libero.
3. La serie: «riguarda da vicino ed esclusivamente la struttura narrativa. Abbiamo una situazione fissa e un certo numero di personaggi principali altrettanto fissi, intorno ai quali ruotano dei personaggi secondari che mutano, proprio per dare l’’impressione che la storia seguente sia diversa dalla storia precedente». (12)
La serie era già stata ampiamente trattata da Eco e definita quale: «Struttura iterativa nella comunicazione di massa». (13)
Ogni opera designa sempre un duplice Lettore Modello (14): il primo utilizza l’opera come dispositivo semantico ed è vittima delle strategie dell’autore che lo conduce lungo una serie di previsioni ed attese; l’altro, il lettore critico di secondo livello, è colui che gode della serialità apprezzando le variazioni. Questo tipo di godimento avverrà ovviamente con le serie più sofisticate (delle quali accennerò brevemente in seguito).
Eco legge questa possibilità di trasmissione d’un livello sofisticato di comunicazione nelle opere seriali, e nelle serie in particolare, ponendo l’accento sul fatto che la maggior parte delle strategie serializzanti attuate nell’ambito massmediatico siano principalmente interessate ai lettori modello di primo livello, ovvero i più “deboli” entro questo sistema comunicativo.
Il problema è che non c’è da un lato una estetica dell’arte “alta” (originale e non seriale) e dall’altro una pura sociologia del seriale. V’è piuttosto una estetica delle forme seriali, che non deve andare disgiunta da una sensibilità storica e antropologica per le forme diverse che in tempi e in paesi diversi assume la dialettica tra ripetitività e innovazione. (15)
Stringendo un po’ Eco elenca varie forme di serie:
– serie a schema fisso;
– serie a flash back;
– serie a spirale;
– serie a carattere.
4. La saga: è la quarta tipologia della ripetizione individuata da Eco ed appare interessante perché coglie il decorso storico di un personaggio (saga lineare), o meglio ancora, di una genealogia di personaggi (saga ad albero, l’esempio utilizzato è quello del Dallas televisivo); Eco la definisce anche serie mascherata.
5. Il dialogismo: anch’esso descritto attraverso una vasta gamma di sottocategorie, appare essenzialmente come tipologia regolatrice della sfera delle citazioni.
Entro questa tipologia il serial cinematografico americano degli anni dieci si configura come struttura che può variare dai casi di serie a carattere, dove la preminenza della diva seriale mette in moto l’intera vicenda, a strutture di serie a schema fisso o a spirale; difficilmente utilizzata è la struttura a flash back perché l’enfasi è costantemente posta sul presente, sull’azione.
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2. LA DIMENSIONE FATTIVA DEL TESTO SERIALE
Vorrei aprire un ultima breve parentesi relativa alla dimensione fattiva del testo seriale, argomento sfiorato appena nelle pagine precedenti ma nevralgico nell’evoluzione del linguaggio cinematografico.
La dimensione fattiva del cinema seriale è in sostanza la strategia intrapresa, coscientemente – o meglio – scientificamente, da parte delle case di produzione cinematografiche di far consumare al proprio pubblico altri elementi della serie. Con fattività intendo la capacità di far compiere una reazione standardizzata al soggetto esposto ad un impulso coordinato.
Provando a rovesciare i termini della questione e ad utilizzare la serialità come strumento di contatto col pubblico capace di far circolare elementi non solo “negativi”, ma anche “positivi”, possiamo individuare quella propensione, insita nel concetto di serialità, in grado di utilizzare questa dimensione fattiva non unicamente nella logica “perversa” dell’industria culturale ma in una prospettiva comunicativa interessata ad altro che il consumo di sé.
Nella musica, ad esempio, la dodecafonia schonberghiana utilizza la serie per costruire una struttura musicale complessa (1). Anche nell’esperienza pratico-teorica della Kinopravda di Dziga Vertov la serialità è elemento centrale. E’ l’idea stessa del cinema per Vertov che incontra la serialità, egli persegue un cinema prodotto dalle masse: “Film che producono film” (2), il film stesso che innesta un circuito produttivo tra il pubblico all’interno del pubblico; ideologicamente il fine perseguito dal cinema di Vertov è la Rivoluzione.
In maniera differente Jean-Luc Godard nei suoi Histoire(s) du cinéma, 1A e 1B (1988-98), utilizza la dimensione fattiva della serialità attivandola mediante il montaggio inorganico, egli compie un operazione materialistica di accumulazione segnica, di vera e propria polisemia, svincolando il linguaggio cinematografico dalla certezza organica del modo di rappresentazione istituzionale.
L’opera di François Truffaut legata ad Antoine Doinel, interpretato dall’alter-ego del regista Jean-Pierre Leaud, si articola in 5 film che vedono protagonista l’attore dall’età di 13 anni ne I quattrocento colpi del 1959 all’età di 33 ne L’amore fugge del 1979; film, quest’ultimo, costellato di fotogrammi non utilizzati nei precedenti in aperto dialogo con la tripla memoria dell’attore, dello spettatore e del personaggio.
Dobbiamo anche contemplare entro la serialità una dimensione d’apprendistato, da intendersi come capacità di insegnare qualcosa al lettore/spettatore; mi voglio riferire con questo accenno all’opera di Gilles Deleuze sulla recherche proustiana (3). La ricerca del tempo perduto è un’opera seriale.
Più in generale in tutta l’arte moderna il concetto di serie è abbondantemente utilizzato.
Con questo sommario quadro di riferimento attorno al concetto di serialità vorrei iniziare ad accostarmi all’argomento in questione. Molte delle caratteristiche individuate sono riscontrabili nei primi serial cinematografici made in U.S.A. degli anni dieci; non era forse ammantata da amusement la visione delle peripezie delle serial queen?
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Note al capitolo 1 “Serialità”:
(1) Cit. in Monica Dall’Asta, Il cinematografo al campo, Transeuropa, 1993.
(2) Vladimir J. Propp, Morfologia della fiaba, Einaudi, Torino, 1966 (ed. or. 1928).
(3) In questo lavoro il concetto di industria culturale risulta fondamentale in quanto costituisce la cornice entro cui colloco l’analisi dei serial degli anni dieci; Horkheimer e Adorno definiscono l’industria culturale quale strategia di armonizzazione dei diversi settori culturali, sistema di tutti i mezzi di comunicazione. Il prodotto culturale nella loro analisi è l’esito del sistema dell’industria culturale. La serialità non è menzionata ma la descrizione del prodotto dell’industria culturale fatta è applicabile e anzi, descrive perfettamente, il prodotto seriale. Definendo il processo di standardizzazione del pubblico i due filosofi enucleano il funzionamento dell’industria culturale sviscerandola, smascherando l’aspetto rassicurante di armonico sviluppo della società. Il prodotto, entro questa “filosofia” coincide con la pubblicità.
L’industria culturale è una forma di controllo del pubblico che induce bisogni generatori di comportamenti; siamo entro una dimensione fattiva del testo seriale, fattività da intendersi quale bisogno indotto. Horkheimer e Adorno parlano di amusement (divertimento) a proposito della qualità utilizzata dall’industria culturale per catalizzare lo spettatore. I due filosofi tedeschi vedono prendere forma questo sistema integrato negli anni trenta. Max Horkheimer e Theodor W. Adorno, L’industria culturale in Dialettica dell’illuminismo, Einaudi, Torino 1997, pag. 126-180 (ed. or. 1947).
(4) Di come la metafora del montaggio cinematografico si sia estesa oltre il campo propriamente cinematografico ce ne offre una interessante lettura Lev Manovich in Il linguaggio dei nuovi media, Edizioni Olivares, Milano, 2002 (ed. or. 2001).
(5) “L’idea di serie è radicata nel cuore stesso della problematica relativa alla fotogrammatica della cinematografia, che è, senza dubbio, un fenomeno eminentemente seriale.” André Gaudreault, Dal Semplice al Multiplo o il cinema come serie di serie…, in Anna Antonini (a cura di), Il film e i suoi multipli, Forum, Udine, 2003. La serialità sottesa alla natura fotografica dell’apparecchio cinematografaco è una questione cruciale inscritta nella genesi stessa del linguaggio cinematografico ma è questione che credo sia il caso di accennare solamente in questa sede.
(6) Edgar Morin, I divi, A. Mondadori, Milano, 1963 (ed. or. 1957).
(7) O del cinema primitivo seguendo le indicazioni di Noël Burch nel suo Il lucernario dell’infinito. Nascita del linguaggio cinematografico, Il Castoro, Milano, 2001 (ed. or. 1990).
(8) A cura di Riccardo Redi, Lumière: verso il centenario, Di Giacomo, Roma, 1986.
(9) F. Casetti, Introduzione, in F. Casetti (a cura di), L’immagine al plurale. Serialità e ripetizione nel cinema e nella televisione, Marsilio, Venezia 1984, p. 10.
(10) E’ l’autore stesso a metterci in guarda dalla primitività di questa tipologia, ma proprio accogliendo le sue indicazioni, la utilizzerò per compiere una rapida ricognizione sulla vastità del tema indagato.
(11) U. Eco, Tipologia della ripetizione, in Francesco Casetti (a cura di), L’immagine al plurale. Serialità e ripetizione nel cinema e nella televisione, Marsilio, Venezia 1984, p. 20.
(12) Ibid., p. 24.
(13) U. Eco, Apocalittici e integrati, Bompiani, Milano 1964, pp. 245-249.
(14) U. Eco, Lector in fabula, Milano, Bompiani, 1979.
(15) U. Eco, Tipologia della ripetizione, in Francesco Casetti (a cura di), L’immagine al plurale. Serialità e ripetizione nel cinema e nella televisione, Marsilio, Venezia 1984, p. 27.
Note al capitolo “La dimensione fattiva del testo seriale”:
(1) Utilizzo qui la categoria in maniera strumentale come ricordato da Luisa Zanoncelli in Anna Antonini, Il film e i suoi multipli, Forum, Udine, 2003. “L’ assenza di serie considerazioni sulle analogie con le arti cosiddette figurative e con la musica in particolre è macroscopica, e i fuggevoli accenni, (…) alla dodecafonia per il concetto di serie, (…) sono meri esempi strumentali, non eccezioni che confermano la regola (…)”.
(2) Monica Dall’Asta, Film che producono film: serialità e sperimentazione, in Anna Antonini, Il film e i suoi multipli, Forum, Udine, 2003.
(3) Gilles Deleuze, Marcel Proust e i segni, Einaudi, Torino 2001 (ed. or. 1964).
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3. IL SERIAL CINEMATOGRAFICO AMERICANO DEGLI ANNI DIECI
Per iniziare mi avvalgo di una citazione proveniente del web che descrive le caratteristiche fondamentali dell’argomento in questione:
I serial cinematografici erano brevi film d’avventura proiettati prima dell’attrazione principale. La storia in un serial continuava lungo diversi capitoli o episodi con l’intento di attirare nuovamente il pubblico in sala la settimana successiva. I serial vennero a conoscersi come “cliffhangers” perché l’eroe o l’eroina affronteranno gli inevitabili pericoli alla fine dell’episodio per essere miracolosamente salvati all’inizio di quello successivo. Quando la maggior parte della gente pensa ai serial ricorda i serial classici degli anni trenta e quaranta (e gli sforzi “trash” degli anni cinquanta). Comunque il serial fu inventato molto prima dei “classici” e intratteneva pubblici anche nell’era del muto. (1)
Il serial cinematografico è prima d’ogni cosa una «macchina pubblicitaria perfetta». (2)
Nell’estate del 1912 il serial cinematografico fa la sua comparsa nelle sale americane, in quest’epoca l’intero assetto produttivo dell’industria cinematografica è alle prese con una serie di radicali trasformazioni, fra cui assume una particolare importanza (in questa sede) la modernizzazione delle tecniche pubblicitarie.
Per il cinema, in ritardo rispetto ad altri settori, il superamento della logica dell’annuncio, soppiantata da un nuovo modo di concepire la pubblicità quale strumento in grado di “catturare” il pubblico, si scontra con una serie di difficoltà strutturali.
Il ritardo nell’utilizzo di tecniche sistematiche per la promozione delle pellicole è dovuto essenzialmente alla natura contingente del prodotto cinematografico dell’epoca primitiva: da una parte esso è ancora legato al formato breve, imposto dai limiti tecnici che ne costringono la durata al massimo di due soli rulli e quale seconda difficoltà, è la natura stessa delle proiezioni, basate su continue rotazioni dei programmi composti da quantità di piccoli film ogni giorno diversi.
La pratica della promozione pubblicitaria diverrà sistematica per le pellicole con l’affermazione del lungometraggio che attraverso la sua più stabile e prolungata permanenza sul mercato, dovuta ad un metraggio meno manipolabile da parte dei gestori delle sale, assicurerà un maggiore sfruttamento commerciale delle pellicole; ma i primi passi di questa nuova “produttività” verranno mossi proprio con la comparsa dei serial cinematografici.
La loro suddivisione in episodi ne permette uno sfruttamento commerciale di tre o quattro mesi. I singoli episodi hanno la durata media eguale a quella delle pellicole del cinema primitivo (o delle origini), ovvero due rulli. Il medesimo cast interpreterà l’intero sviluppo della vicenda, settimana dopo settimana, imponendo nel contatto con il pubblico una maggiore partecipazione emotiva ed inserendo nella pratica della visione cinematografica l’aspetto della memoria, il ricordo dell’episodio precedente. Si aggiunge alla serialità basata sul personaggio (già presente sul mercato e composta da: serie comiche come quelle di Max Linder e André Deed, oppure le serie incentrate su personaggi eccentrici quali Nick Carter, Zigomar, Fantômas, Sherlock Holmes e molti altri in tutta Europa), l’elemento della continuità narrativa, così che le avventure delle protagoniste non appaiano più come concluse in sé stesse, autonome ed indipendenti le une dalle altre, ma legate ad una continuità temporale reciproca. Si crea un percorso obbligato dal primo all’ultimo episodio, dilatando, potenzialmente all’infinito, il momento dell’appagamento dello stimolo spettatoriale, costruendo un congegno che funziona né più né meno come un normale film ma, appunto, dilatato.
Il serial diviene luogo privilegiato di sperimentazione delle tecniche di marketing, laboratorio affacciato sul reale entro il quale inventare ed affinare tecniche di fideizzazione e fascinazione proprie d’una società di massa in via di fulminea formazione proprio in quegli anni.
Il capostipite del genere è un serial in dodici episodi della lunghezza di due rulli, distribuito a cadenza quindicinale a partire dal luglio 1912, What Happened to Mary?, regia di W. Edwin e J. Seale. L’accordo fra la Edison, che produce la seie, e il periodico mensile McClure’s Ladies World genera tre importanti novità nella promozione del prodotto che diverranno costanti nella pubblicità cinematografica degli anni a venire.
La prima novità consiste nella possibilità, offerta dalla rivista, di sviluppare campagne pubblicitarie su tempi più dilatati in grado di fideizzare maggiormente il proprio pubblico alle evoluzioni delle vicende entro le quali si dibattono i propri beniamini; la scelta di un giornale per sole donne focalizza l’attenzione verso un pubblico ben definito (target mirato, è la formula che solo successivamente verrà adottata per descrivere questo tipo di scelte industriali), costituito prevalentemente da donne bianche, tendenzialmente emancipate, appartenenti ai ceti urbani emergenti, proprio quella classe sociale che le appena nate indagini di mercato individuano quali maggiormente propense al consumo; la terza novità dell’operazione consiste nell’instaurazione del principio del concatenamento intertestuale (tie-in) attraverso una duplice pratica: novellizzazione del film (viene romanzata a puntate sulla rivista la vicenda della giovane Mary) e concorso a premi che mette in palio 100 dollari a chi risolverà l’enigma posto dal titolo.
Mary è una diciottenne alle prese con una serie di cinetiche avventure nella metropoli newyorkese degli anni dieci, abbandonata appena nata verrà raccolta in un villaggio da un uomo che farà di tutto per impossessarsi della sostanziosa eredità che le spetta al compimento della maggiore età; l’intera storia verterà proprio sulle perfide trame intessute dal tutore contrapposte all’energica vitalità della giovane che solo all’ultimo episodio riuscirà ad entrare in possesso della sua legittima eredità di 10000 dollari. I dodici episodi che compongono la serie raccontano vicende concluse in sé stesse, autonome, ma che si rimpallano l’una con l’altra la risoluzione dell’enigma posto dal titolo What Happened to Mary?, la funzione pubblicitaria viene a installarsi nel corpo stesso del film: ogni singolo episodio funziona in pratica come il trailer di quello successivo, in un processo a catena – ancora – virtualmente senza fine.
L’ eroina, interpretata da Mary Fuller, sarà già pronta l’anno successivo a tuffarsi in una nuova serie, di sei episodi, che proporrà al proprio pubblico un nuovo quesito sulla sorte della giovane Mary, Who Will Marry Mary?, sempre per la Edison.
Il successo sia cinematografico che editoriale di Mary è clamoroso. Gli editori della stampa periodica da subito prendono coscienza dell’enorme potenziale di attrazione, in termini di pubblico, da parte del cinema. Se nella fase precedente la scena mediatica era governata dalla stampa, pare di osservare da questo momento un rovesciamento di paradigma, ora è il cinema a porsi prepotentemente quale luogo mediatico nevralgico della nascente industria culturale; il movimento dello spettatore del serial sarà quello circolare che, dalle pagine della rivista, lo porterà alla più vicina sala cinematografica e poi di nuovo sulle pagine della stessa, entro un movimento di eterno ritorno, entro una dimensione che in questo movimento diverrà inevitabilmente familiare.
La fase della stampa periodica sarà molto breve, già dal 1914 saranno i quotidiani ad interessare i produttori cinematografici. Le novellizzazioni diverranno pratica abituale secondo la formula «Read it Here in the Morning; See it on the Screen Tonight!».
Nel giro di pochi mesi i maggiori gruppi editoriali americani si gettarono su quella che apparve subito come una fonte certa di utili.
Dal gennaio del 1914, il Chicago Tribune pubblica sul supplemento domenicale i tredici episodi di The Adventures of Kathlyn, da subito le tirature aumentano di dieci punti percentuali. Questo enorme balzo in avanti nelle vendite induce il mercato a moltiplicare l’offerta. Risponderà ad aprile il Chicago Herald che pubblica Lucile Love, Girls of Mystery. I giornali del gruppo Hearst puntano invece sul serial della filiale americana della gloriosa casa di produzione cinematografica francese Pathé: The Perils of Pauline, che lancerà colei che in breve diverrà la diva del genere, Pearl White. Da segnalare il caso del Tribune, che per il lancio di The Million Dollar Mystery (siamo sempre nel quattordici) escogita finti casi di cronaca orchestrati ad arte per evocare assonanze con quella che sarà da lì a pochi giorni la trama della vicenda del serial in questione ed anche un concorso a premi sulla scia del McClure’s Ladies World, ma con in palio 10000 dollari a chi indicherà l’idea più interessante per un sequel (che realmente verrà realizzato in trenta episodi nel ’15 con il titolo Dal pugno al milione).
Possiamo tranquillamente parlare di sinergia industriale riferendoci al caso della trilogia di Elaine.
Trentasei episodi, raccolti in tre serie, realizzati fra la fine del ’14 e il 1915, dal gruppo Hearst per quanto riguarda la carta stampata e la casa di produzione cinematografica Pathé: The Explotions of Elaine, The New Explotions of Elaine e The Romance of Elaine.
Pearl White interpreta Elaine, ruolo che in poco tempo la consacra quale vera e propria diva alle platee di tutto il mondo. La costruzione delle screen peronalities è una di quelle caratteristiche del serial che contribuiscono alla modernizzazione delle tecniche pubblicitarie. La caratterizzazione avviene sullo schermo e sulla carta stampata, attivando una complessa stratificazione semantica che spazia dal romanzo rosa vittoriano all’immagine emergente della New Woman resa popolare dalle riviste femminili degli anni dieci.
La trilogia di Elaine verrà esportata in Francia alla fine del 1915 (per far fronte alla crisi produttiva dell’intero continente alle prese con la I Guerra Mondiale), dove sarà completamente rimontata per adattarla ad un nuovo contesto di fruizione: i trentasei episodi della trilogia vengono ridotti a ventidue e distribuiti sotto il titolo de I Misteri di New York. Imboccando una strategia tipicamente sensazionalista la Pathé trasforma le avventure di Elaine in una storia a sfondo patriottico dove le peripezie dell’eroina e del suo compare sono riviste in chiave di eroico sforzo nei confronti della Francia contro le azioni perverse del cattivo di turno. Fondamentalmente questa ri-semantizzazione del testo è compiuta con la ri-scrittura delle didascalie che motivano in maniera completamente diversa le azioni che si susseguono sullo schermo.
Cosa interessante viene anche importata dai francesi la pratica della novellizzazione. Sulla prima pagina del quotidiano Le Matin appare, ogni giorno, la novellizzazione de I Misteri di New York, anticipando ai lettori gli avvenimenti che potranno vedere al cinema il sabato successivo. Questa completa riscrittura di testi da parte di professionisti del feuilleton cambia il ritmo di produzione di questa pratica che da pubblicazione settimanale negli Stati Uniti, diviene quotidiana (sette appendici per ogni episodio cinematografico) in Francia. La formula dell’abbinamento di un film a episodi con un romanzo a puntate raggiungerà proprio in Francia il suo pieno sviluppo, dove proseguirà la lunga tradizione del roman-feuilleton. I Misteri di New York saranno così non una semplice traduzione o adattamento d’un prodotto straniero ma risulteranno una complessa operazione semiotica, capace di affascinare le avanguardie artistiche da Louis Delluc a Louis Argon, da Andre Breton a Jean Epstein che affermerà:
(…) Non ci sono che situazioni, senza capo né coda; senza inizio, senza meta e senza fine; senza diritto e senza rovescio; si possono guardare in tutti i sensi; la destra diventa la sinistra; senza limiti di passato o avvenire, esse sono il presente. (3)
Fino al 1917, il panorama dei film a episodi è pressoché interamente dominato dai serial americani, che la Pathé, con le sue varie filiali, si preoccupa di diffondere copiosamente non solo in Francia, ma anche nel resto d’Europa.
Mentre in Francia dilaga questa nuova pratica editoriale, negli Stati Uniti le novellizzazioni scompaiono rapidamente dal mercato, non lasciando più alcuna traccia a partire già dal 1917. Le cause d’una così rapida estinzione possono essere individuate nella presenza sempre più stabile sul mercato del lungometraggio che sposta ai margini della produzione tutto il serial ed il formato breve in generale, e dalla mancanza d’una tradizione letteraria simile a quella francese dei feuilleton che relega questo tipo di pubblicazioni ad un registro unicamente popolare, quello delle riviste, le antenate dei pulp magazines che, dalla fine degli anni venti, cominceranno ad aumentare le tirature alla conquista di audience sempre più vaste e mirate. Proprio entro questo contesto nella seconda metà degli anni trenta la formula del tie-in conoscerà nuove strade.
La storia del serial cinematografico è dunque principalmente storia di disseminazioni a livello produttivo, semantico e iconografico. (4)
E’ anche una storia di alleanze industriali, la storia di quella strategia di armonizzazione dei diversi settori culturali il cui risultato è il dispositivo “industria culturale”.
Le basi di questo processo vengono poste nell’ottocento mediante la pratica del romanzo d’appendice capace di mettere in contatto due elementi della nascente industria culturale: la narrativa e il giornalismo. Sulle prime pagine dei quotidiani francesi la finzione del feuilleton si ibrida ai fatti di cronaca, sovrapponendo così realtà e finzione, dando vita ad un processo generatore di svariate forme osmotiche in continuo dialogo (reciproco). (5)
Con l’avvento del serial sarà l’intera categoria dell’immagine riproducibile ad entrare nel sistema dell’industria culturale. Con i serial degli anni dieci assistiamo ad una convergenza di romanzo e film, come pure di giornalismo sensazionalistico e fotografia, nella fase successiva verranno coinvolti altri media come: la radio, i pulps magazines, il fumetto ed infine la televisione. Si instaurano pratiche intertestuali caratterizzate da un continuo rimando da un media all’altro (ancora una volta), potenzialmente inarrestabile.
L’intero scenario mediatico si configura in struttura fortemente integrata capace di generare risposte standard a stimoli standard ed oltretutto di generare stimoli standard appagabili mediante risposte standard in una moltiplicazione incessante di elementi (film sotto forma di nuovi episodi della serie, novellizzazioni, concorsi a premi, fotografie che ritraggono il volto dell’attrice del serial, prodotti reclamizzati entro un contesto fatto d’assonanze con la serie cinematografica).
Allo stesso tempo questo esempio di fordismo culturale, così fortemente dedito al profitto perseguito con rigore scientifico, è altrettanto in grado d’essere macchina immaginativa ancor più potente, dove la stessa pubblicità svolge un ruolo attivo nella dialettica dell’immaginario.
L’immaginario di cui parlo non può essere altrimenti definito che immaginario di massa.
Il serial sancisce per il cinema il concreto passaggio ad una dimensione di massa. Lo fa sul piano industriale perseguendo la ricerca di pubblici sempre maggiori, attraverso l’aumento delle copie destinate alla distribuzione per la proiezione. Lo fa sul piano mediatico da una parte attraverso la costruzione delle, già citate, screen personalities che si configurano con i serial anni dieci quali vere e proprie “nuove donne” portatrici d’una nuova femminilità: Mary Fuller e Kathlyn Williams all’inizio e poi, Helen Holmes, Ruth Roland e soprattutto Peral White; dall’altra nel porre sé stesso (il cinema) al centro, nel luogo nevralgico di intersezione fra tutti i giochi di rimandi generati dal testo seriale.
Ovviamente la produzione di immaginario è coinvolta direttamente in questa nuova dinamica mediatica.
Il tiro incrociato messo in atto da cinema, periodici, editoria musicale (che realizzerà spartiti relativi alle pellicole raffiguranti in copertina eleganti ritratti delle giovani eroine) e pubblicità, non permette scampo al contemporaneo introducendo i protagonisti del serial nella dimensione famigliare di ogni cittadino americano urbanizzato.
Dal punto di vista più strettamente cinematografico il carattere di massa emerge anche da una rapida analisi stilistica e linguistica delle opere prese in considerazione.
Lo stile del serial è quel che si è soliti definire “stile senza autore” o, utilizzando ancora le indicazioni della dialettica dell’illuminismo, d’una “caricatura dello stile”: massimizzazione d’ogni carattere in funzione della resa del prodotto. Estetica dell’effetto basata su elementi essenziali che sfruttano appieno le potenzialità del mezzo cinematografico:
– Ruolo centrale assegnato all’azione ed allo stunt;
– Uso del montaggio per creare suspanse al termine dell’episodio;
– Uso dell’accelerato per truccare le scene più movimentate;
– Adattamento in forma iperbolica del principio del finale a sospensione: il cliffhanger.
In un certo senso, (…), l’avvento del serial spacca in due la storia del cinema. (6)
Fungendo da spartiacque fra una fase primitiva ed una industriale di massa. L’epoca del serial appare dunque ibrida fra queste due pratiche cinematografiche, contenendo le caratteristiche della fase precedente e prefigurando quelli che saranno gli sviluppi dell’industria cinematografica a venire, l’epoca d’oro del cinema muto era dell’istituzionalizzazione del cinema.
L’entusiasmo con il quale il serial americano verrà consumato, nel vecchio come nel nuovo continente, pare essere sorretto da uno slancio di liberazione dell’immaginario di massa che nella leggerezza dell’agire di queste nuove eroine dei tempi moderni sembra rispecchiare le proprie aspirazioni. Fra l’entusiasmo innescato dalla promessa di libertà sottesa ai serial e il pessimismo, d’una visione manipolativa e speculativa di Horkheimer e Adorno, tutte le sale cinematografiche riempiono le proprie proiezioni con una moltitudine di prodotti serial (i) che nel periodo che va dal 1912 al 1956 conta più di cinquecento serie per un totale di oltre 7200 episodi.
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Note al capitolo “Il serial cinematografico americano degli anni dieci”:
(1) Da http://www.filmsite.org/serialfilms.html. Motion picture serials were short adventure films that played before the feature attraction. The story in a serial continued over several chapters or episodes in order to entice the audience back to the theater the next week. The serials came to be known as “cliffhangers” because the hero or heroine would face inescable peril at the end of each episode only to be miraculously rescued at the beginning of the next one. When most people think of serials they remember the classic serials of the 30’s and 40’s (and the abysmal efforts of the 50’s.) Nevertheless, the serial was invented long before the “classics” and entertained audiences in the silent era as well.
(2) Monica Dall’Asta, La diffusione del cinema ad episodi in Europa in Gian Piero Brunetta Storia del cinema mondiale vol .I, Einaudi, Torino, 1999, p. 289.
(3) L. Delluc, Pearl White, in Ecrits cinématographiques II, Paris 1986, pp. 79.
(4) Monica Dall’Asta, Il serial in Gian Piero Brunetta, Storia del cinema mondiale vol.II, Einaudi, Torino, 2000, p. 295.
(5) «Se fossi Luigi Filippo darei una rendita fissa a Dumas, a Sue, e a Soulié perché continuassero sempre I Moschettieri, I Misteri di Parigi e Le memorie del Diavolo. Così non ci sarebbero più rivoluzioni» frase di Joseph Méry in A. Bianchini, Il romanzo d’appendice, ERI, Torino, 1969.
(6) Monica Dall’Asta, Il serial in Gian Piero Brunetta, Storia del cinema mondiale vol.II, Einaudi, Torino, 2000, p. 297.
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4. NEW WOMAN E SERIAL QUEEN
L’aspetto principale del successo delle dive seriali è la novità dell’immagine femminile proposta.
L’humus narrativo entro cui nasceranno le varie Pearl White, Mary Fuller e Kathlyn Williams proviene dalla letteratura avventurosa e seriale –poliziesca, spionistica, fantascientifica, western– dalla quale si distingue per il fatto che qui protagoniste sono le donne, pronte ad affrontare qualsiasi peripezia, animate da personalità vulcaniche che permettono loro di compiere ogni tipologia di azione eccentrica mirata alla realizzazione delle proprie aspirazioni.
La Serial Queen appare definita nei tratti caratteristici, già a partire dal primo serial, ovvero What happened to Mary? del 1912 (dei dodici episodi dei quali era costituita la serie originale ne sono sopravvissuti solo cinque conservati e restaurati dal Museum of Modern Art di New York).
Mary Fuller che interpreta Mary, compie delle scelte che la portano dalla campagna alla città, dalla casa del tremendo tutore (unicamente interessato alla dote che spetta alla ragazza) alla vita indipendente sia in termini economici che decisionali, tanto da delineare in questa tipologia di eroe seriale tratti marcatamente femministi. La vicenda si svolge entro la cornice di una New York in piena esplosione demografica ed urbanistica, fremente di novità.
Tre sono le principali caratteristiche poste dalla prima serie dedicata a Mary che diverranno costanti ricorsive nei serial degli anni ’10:
1) la giovane donna è in conflitto con il proprio tutore;
tema classico del melodramma, rappresenta la minaccia alla virtù dell’eroina da parte di chi dovrebbe in realtà proteggerla. Nelle serial queen vi è uno spostamento dalla dimensione della “virtù” alla dimensione dell’indipendenza, valore fondante della nuova donna “contemporanea”.
2) le giovani serial queen sono tutte orfane di padre;
allegoria di una rottura generazionale che vede moltiplicarsi la figura del tutore e delle aggressioni maschili, per una melodrammatica legge del contrappasso.
3) il rifiuto della tradizione coincide con il rifiuto del matrimonio;ora le donne reclamano di vivere molte esperienze prima di compiere la scelta di sposarsi; nel serial Il fatto verrà immediatamente esorcizzato già con la serie successiva del 1913 Who Will Marry Mary?; avranno forse pensato alla Edison di sovvertire l’ordine morale della nazione?
Indipendenza, conflitto con l’ordine patriarcale vissuto come innaturale, rifiuto delle tradizioni lontane dal principio dell’affermazione di sé. Le serial queen sono il contributo del cinema all’affermazione di un nuovo attore sociale: la New Woman ,così definita dalla stampa dell’epoca. Non più angelo del focolare, madre e sposa vincolata nel luogo domestico, ma autosufficiente sia economicamente che emotivamente, dinamica e volitiva, ma soprattutto alla spasmodica ricerca di quelle nuove esperienze che le sono sempre state precluse da una società oppressiva.
Le protagoniste dei serial portano sullo schermo, sottoforma di rocambolesche avventure, gli articoli delle cosiddette “giornaliste impavide”, le plucky girls reporters che all’epoca si incaricarono di sondare tutti quei territori fino ad allora preclusi alle donne. Fenomeno giornalistico particolarissimo che vede delle donne impegnate a compiere azioni fuori dall’ordinario per la realizzazione di stunt-articles, ovvero una fanatica ricerca del pericolo fisico o comunque dell’azione compiuta per la prima volta da una donna. Il serial caratterizza spesso le proprie eroine come coraggiose giornaliste a caccia di notizie ed esperienze sensazionali: da The Active Life of Dolly of the Dailies con Mary Fuller del 1914 a Hands Up del 1918 interpretato da Ruth Roland, la storia del serial è percorsa da una folta schiera di intraprendenti giornaliste del grande schermo.
La propensione all’esibizione acrobatica, al vero e proprio numero acrobatico (stunt) è una delle principali caratteristiche del genere preso in analisi; caratteristica che contribuirà allo sviluppo di tecniche acrobatiche nel cinema. L’ evoluzione nell’uso di queste tecniche sarà rapidissima: se ne ravvisa un uso ancora primitivo, non dissimile ai giochi illusionistici melièsiani, nei primissimi serial (le scene d’azione appaiono ancora goffe e l’uso di controfigure maschili, per esempio nei serial interpretati da Pearl White, è realizzato mediante parrucche adagiate alla bell’è meglio sul capo di atletici stunt hollywoodiani).
Caso esemplare di stunt-woman è quello dell’attrice Helen Holmes, specializzata nel ruolo dell’eroina ferroviaria impegnata a sventare sciagure organizzate dal cattivo di turno. Prima è un’eroica telegrafista (storia seriale probabilmente ispirata da una vicenda realmente accaduta nella quale una donna americana evitò un incidente ferroviario e per questo venne ricompensata con un posto di lavoro come telegrafista per la compagnia proprietaria del treno) in The Hazards of Helen ( realizzata dalla Kalem dal 1914 al ’17, consistente in 119 episodi autoconlusivi; qui l’enfasi posta sull’azione acrobatica è talmente centrale da far ritenere alla produzione non più indispensabile la presenza d’una diva, ma di poter continuare dal 48° episodio con la sua controfigura Helen Gibson) poi con The Girl and the Game del 1915, Lass of the Lumberlands del 1916 e The Lost Express arriverà al perfezionamento di tutti i topoi ferroviari del cinema d’azione.
Sono le donne a risolvere con abilità fisica, coraggio e intraprendenza situazioni complicate; l’eroe è femmina, è questa novità la più grande attrattiva esercitata dal serial sul pubblico dell’epoca, a lasciarlo letteralmente a bocca aperta e col fiato sospeso. Abbiamo detto di Pearl White, di Mary Fuller, Helen Holmes, ma la lista delle eroine sarebbe molto lunga (Irene Castle, Mollie King, Marie Walcamp, Margherite Courtot…).
Sono le giovani donne americane ad affollare le proiezioni del mattino, a rispecchiare le proprie aspirazioni in quelle delle serial queen. Così la sala cinematografica diviene luogo di mediazione fra reale ed immaginario, dove le reali condizioni di vita delle donne si confrontano con una sempre crescente rivendicazione d’indipendenza da una società ancora fondamentalmente discriminatoria per la condizione femminile. Non può dunque apparire posticcio l’accostare questo fenomeno al contemporaneo movimento di lotta per l’equiparazione dei diritti di cittadinanza senza discriminazione di genere sessuale.
Dal 1916 (siamo in pieno primo conflitto mondiale) le donne varcheranno un confine ancora inesplorato, quello della guerra. Vedranno la luce alcuni serial dove si esalteranno le qualità patriottiche e militari delle protagoniste, ad esempio Mary Walcamp in Liberty, A Daughter of the USA (Universal) e Irene Castle in Patria (Pathé); anche il giornalismo al femminile sarà coinvolto nel racconto della grande guerra.
In maniera più ridotta rispetto all’Europa, anche negli Stati Uniti le donne vengono coinvolte, durante la guerra, negli sforzi bellici facendole passare da una condizione conclusa unicamente nella dimensione privata ad una dimensione pubblica, generando una rivoluzione sul piano del costume visibile in nuovi atteggiamenti come ad esempio il fumare o bere in pubblico ed un minore ingombro nell’abbigliamento caratterizzato da abiti più corti.
Nel corso degli anni venti la progressiva scomparsa delle eroine del serial corrisponde alla retrocessione della donna nella sfera domestica conseguente alla fine del conflitto. Gli uomini acquisiscono nuovamente il ruolo di protagonisti nel cinema d’azione e seriale, le donne tornano ad essere in queste vicende le vittime di turno del cattivo di turno da salvare dall’eroe di turno. Da una parte eroi muscolosi al posto di impavide eroine; dall’altra il progressivo allontanamento dell’attualità a favore di ambientazioni esotiche, western e soprattutto fantascientifiche.
Il serial intraprenderà per questa strada il percorso che lo porterà a divenire forma di intrattenimento per un pubblico prevalentemente fatto da ragazzi, di adolescenti. Fino al 1920, i serial uscivano in tutti i tipi di sale. (…) Ma con la specializzazione del pubblico e l’emergere di una tendenza sempre più evidente verso film più raffinati, il serial si vede relegato alle sale più economiche dove ancora sopravvivono tracce tangibili della tradizione spettacolare del nickelodeon.
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5. IL CLIFFHANGER
Una delle novità introdotte dal serial cinematografico è indubbiamente la tecnica del cliffhanger (tanto che in lingua inglese vengono anche definiti Cliffhanger Serial).
Questo procedimento consiste nel troncare l’episodio nell’istante in cui il (la, in questo caso) protagonista sembra destinato a morte sicura.
Regolarmente, a pochi istanti dalla fine, la storia imbocca una strada che sembra senza sbocco, gli eventi precipitano, il montaggio accelera, e l’ultima inquadratura ci consegna l’immagine di un corpo palpitante sotto la minaccia di un pericolo mortale. (1)
Il repertorio di sequenze riconducibili a questo principio si fonda su un numero molto limitato di pericoli fondamentali che l’eroina dovrà di volta in volta sventare per non soccombere.
La tecnica è introdotta a partire dalle avventure di Kathlyn del 1913, ma assumerà il suo carattere meccanicamente convenzionale solo dopo il 1917, periodo in cui il serial incomincia a rivolgersi ad un pubblico sempre più giovane.
Gli espedienti utilizzati per la risoluzione nell’episodio successivo dell’azione sospesa mediante cliffhanger sono generalmente due: lo svelamento retrospettivo di un ellissi e il ciack alternativo.
Il primo caso svela agli occhi dello spettatore alcuni fatti che egli non aveva avuto modo di sapere alla conclusione del episodio precedente (si scopre che un alleato è giunto all’ultimo istante quando tutto ormai sembrava perduto). Il secondo caso consiste nella realizzazione di una ripresa che contraddica quanto avevamo visto alla conclusione dell’episodio costituendo di fatto un racconto alternativo al precedente ma che sulla menzogna fonda la propria continuità narrativa fra episodi successivi.
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Note al capitolo “Il Cliffhanger”:
(1) Monica Dall’Asta, Il serial in Gian Piero Brunetta, Storia del cinema mondiale vol.II, Einaudi, Torino, 2000, p.308.
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CONCLUSIONI
Taylorismo e fordismo sono fenomeni che si sviluppano contemporaneamente al serial cinematografico che come già detto si configura quale vero e proprio prodotto dell’industria culturale; il modello T della Ford è del 1914. Si entra in un epoca di produzione industriale di massa per le masse, che paiono affamate di ogni tipo di prodotto. Il mercato è invaso da una marea in fulminea ascesa di prodotti standardizzati d’ogni tipo.
Il cinema cavalca questa onda di massificazione standardizzata giocando in anticipo sull’industria culturale di Horkheimer e Adorno, in anticipo rispetto alla Ford, in anticipo ad ogni altro prodotto intermediale e lo fa in primo luogo attraverso il serial cinematografico. Ovviamente in America, ovviamente ad Hollywood.
Tutto è standardizzato nel serial e finalizzato alla massima resa economica. I budget stanziati, in proporzione ai lungometraggi ma con una durata maggiore, sono ridottissimi, i tempi di lavorazione estremamente serrati resi frenetici dalla cadenza settimanale degli episodi.
Ogni singolo episodio è subordinato a regole ben precise e concepito come successione di elementi standard, la durata è tassativamente di due rulli, il numero di episodi diviene immediatamente dato standardizzato che non può assolutamente andare oltre tre opzioni (10, 12 o 15). Nel cinema seriale tutto è prevedibile, alla ricerca dell’appagamento massimo dello spettatore creando uno spazio altamente convenzionalizzato entro il quale lo spettatore possa rifugiarsi evadendo dalla propria realtà quotidiana ma per il quale svilupperà una dipendenza, legata all’immaginario, che invaderà la sua vita quotidiana, portando le eroine fuori dallo schermo della sale dentro la vita quotidiana sottoforma di pubblicità, novellizzazione, brano musicale o sogno da coltivare la notte nel sonno.
In effetti, il modo di produzione dei serial è quanto di più vicino sia mai esistito in campo cinematografico a una rigida organizzazione fordista del lavoro. (1)
Entro questa ottica il cinema seriale assume per lo spettatore le caratteristiche di vera e propria droga da dover incessantemente consumare/assumere, coincidendo in fondo con l’essenza stessa del cinema colta per esempio da Jean Epstein nella incessante voglia/necessità dello spettatore di cadere ancora e ancora sotto il fascino del film successivo:
Ho la mia dose o non ce l’ho. (2)
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Note alle “Conclusioni”:
(1) Monica Dall’Asta, Il serial in Gian Piero Brunetta, Storia del cinema mondiale vol. II, Einaudi, Torino, 2000, p.315.
(2) Jean Epstein, Bonjour Cinéma, Fahrenheit 451, Roma, 2000, p. 99.
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BIBLIOGRAFIA
– Anna Antonini, Il film e i suoi multipli, Forum, Udine, 2003.
– Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino 1966.
– Peter Brooks, L’immaginazione melodrammatica, Pratiche, Parma, 1985.
– Francesco Casetti (a cura di), L’immagine al plurale. Serialità e ripetizione nel cinema e nella televisione, Marsilio, Venezia 1984.
– Gilles Deleuze, Marcel Proust e i segni, Einaudi, Torino 2001 (ed. or. 1964).
– Monica Dall’Asta, La diffusione del cinema ad episodi in Europa in Gian Piero Brunetta Storia del cinema mondiale vol.I, Einaudi, Torino, 1999.
– Monica Dall’Asta, Il serial in Gian Piero Brunetta, Storia del cinema mondiale vol.II, Einaudi, Torino, 2000.
– Monica Dall’Asta, Film che producono film: serialità e sperimentazione, in Anna Antonini, Il film e i suoi multipli, Forum, Udine, 2003.
– Umberto Eco, L’innovazione nel seriale, in Sugli specchi, Bompiani, Milano, 1985.
– Umberto Eco, Tipologia della ripetizione, in Francesco Casetti (a cura di), L’immagine al plurale. Serialità e ripetizione nel cinema e nella televisione, Marsilio, Venezia 1984.
– Umberto Eco, Il superuomo di massa, Bompiani, Milano, 1978.
– Umberto Eco, Il mito di Superman, in Apocalittici e integrati, Bompiani, Milano, 1964.
– André Gaudreault, Cinema delle origini o della “cinematografia-attrazionale”, Il Castoro, Milano, 2003.
– Max Horkheimer e Theodor W. Adorno, L’industria culturale in Dialettica dell’illuminismo, Einaudi, Torino 1997, pag. 126-180 (ed. or. 1947).
– Lev Manovich, Il linguaggio dei nuovi media, Edizioni Olivares, Milano, 2002 (ed. or. 2001).
– Ben Singer, Melodrama and Modernity. Early Sensational Cinema and Its Contexts, Columbia University Press, New York, 2001.
– Raymond Stedman, The Serials. Suspense and Drama by Installment, University of Oklahoma Press, Norman, 1971.
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SITOGRAFIA
A questo indirizzo sono reperibili informazioni per una rapida ricognizione sul serial cinematografico.
In lingua inglese.
http://www.filmsite.org/serialfilms.html
Un approfondito articolo sul serial cinematografico intitolato Pearl White and the Perils of Pauline a firma di Marie-Claude Mercier.
In lingua inglese.
http://www.cadrage.net/dossier/perilsofpauline/perilsofpauline.html
The Maverick’s Home Page si presenta come un’insieme variegato di temi differenti. Presenta una sezione dedicata al serial cinematografico, definito cliffhangers serial; si possono trovare svariate informazioni sulla questione, compresa una sorprendentemente ricca bibliografia in lingua inglese.
In lingua inglese.
http://www.volcano.net/~themaverick/serial.html
“The serial: an introduction” di Gary Johnson è tautologicamente quello che dichiara d’essere, muovendosi dalle origini fino al declino del genere.
In lingua inglese.
http://www.imagesjournal.com/issue04/infocus/introduction.htm
Due brevi biografie della prima serial queen: Pearl White.
In lingua inglese.
http://www.silentsaregolden.com/photos/pearlwhitephoto.html
http://www.things-and-other-stuff.com/ENTERTAINMENT/ASTOS/whitepearl.htm
Un interessante articolo di Robert S. Birchard che ricostruisce i misteri di una biografia, quella dell’attrice Mary Fuller, che ci pone realmente davanti al quesito posto dal primo serial cinematografico della storia del cinema What Happened to Mary?.
In lingua inglese.
http://www.hollywoodheritage.org/newsarchive/Fall99/Mary.html
Kathlyn Williams è stata senz’altro una delle serial queen più celebri. Un testo che ne ripercorre la carriera a firma di Kally Mavromatis della Monash University di Melbourne.
In lingua inglese.
http://www.csse.monash.edu.au/~pringle/silent/ssotm/Apr98
Il progetto “Saving the Silent”, in corso dal 2001, della Cineteca del Friuli entro “ Le Giornate del Cinema Muto” intende illustrare l’attività di preservazione svolta dagli archivi statunitensi con il sostegno governativo nell’ambito di un progetto che mira a salvaguardare la produzione americana dei primi quattro decenni del cinema, fra cui il serial. A cura di: Charles Hopkins, Caroline Yeager, Michael Mashon e Steven Higgins.
In lingua italiana e inglese.
http://www.cinetecadelfriuli.org
Il Cinema Ritrovato, laboratorio della Cineteca del Comune di Bologna si occupa di restauri cinematografici relativi all’epoca del muto. In questo documento del 1993 (in formato pdf) è possibile reperire informazioni relative al restauro di dieci episodi di Pearl of The Army (1916) con alcuni contributi di Monica Dall’Asta.
Fai clic per accedere a fcr1993.pdf
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APPENDICE FILMOGRAFICA
Elenco dei serial cinematografici realizzati negli Stati Uniti dal 1912 alle fine del 1919.
Fonti: Monica Dall’Asta, La diffusione del cinema ad episodi in Europa in Gian Piero Brunetta Storia del cinema mondiale vol.I, Einaudi, Torino, 1999; con integrazioni provenienti da varie pagine consultate in rete.
1912
What Happened to Mary? (Edison, 1912, 12 episodi)
1913
The Adventures of Kathlyn (Selig Polyscope, 1913, 13 episodi)
Who Will Marry Mary? (Edison, 1913, 6 episodi)
1914
The Active Life of Dolly of the Dailies (Edison Company, 1914, 12 episodi)
The Beloved Adventurer (Lubin Company, 1914, 15 episodi)
The Exploits of Elaine (Pathé, 1914, 14 episodi)
The Hazards of Helen (Kalem, 1914, 119 episodi autoconlusivi)
Lucille Love, Girl of Mystery (Universal, 1914, 15 episodi)
The Man Who Disappeared (Edison, 1914, 10 episodi)
The Master Key (Universal, 1914, 15 episodi)
The Million Dollar Mystery (Thanhouser, 1914, 23 episodi)
The Perils of Pauline (Pathé, 1914, 20 episodi)
The Trey o’ Hearts (Universal, 1914, 15 episodi)
Zudora (Thanhouser, 1914, 20 episodi)
1915
The Black Box (Universal, 1915, 15 episodi)
The Broken Coin (Universal, 1915, 22 episodi)
The Diamond From the Sky (American Films, 1915, 30 episodi)
Fates and Flora Fourflush (Vitagraph, 1915, 3 episodi)
The Girl and the Game (Mutual, 1915, 15 episodi)
The Goddess (Vitagraph, 1915, 15 episodi)
Graft (Universal, 1915, 20 episodi)
L’X Noir (, 1915, episodi)
Lady Baffles and the Detective Duck (Universal, 1915, 11 episodi)
Neal of the Navy (Pathé, 1915, 14 episodi)
The New Exploits of Elaine (Pathé, 1915, 10 episodi)
The Red Circle (Pathé, 1915, 14 episodi)
Road o’ Strife (Lubin, 1915, 15 episodi)
The Romance of Elaine (Wharton Production, 1915, 12 episodi)
Runaway June (Reliance, 1915, 15 episodi)
Under the Crescent (Universal, 1915, 6 episodi)
The Ventures of Marguerite (Kalem, 1915, 16 episodi)
1916
The Adventures of Peg o’ the Ring (Universal, 1916, 15 episodi)
Beatrice Fairfax (International, 1916, 15 episodi)
The Crimson Stain Mystery (Erbograph, 1916, 16 episodi)
Gloria’s Romance (Kleine, 1916, 20 episodi)
The Great Secret (Serial Producing Co, 1916, 18 episodi)
The Grip of Evil (Pathé, 1916, 14 episodi)
Homonculus (Deutsche Bioscop, 1916, 6 episodi)
The Iron Claw (Pathé, 1916, 20 episodi)
Judex (, 1916, episodi)
Lass of the Lumberlands (Signal, 1916, 15 episodi)
Liberty, A Daughter of the USA (Universal, 1916, 20 episodi)
The Mysteries of Myra (Pathé, 1916, 15 episodi)
Pearl of the Army (Pathé, 1916, 15 episodi)
Perils of Our Girl Reporters (Niagara, 1916, 15 episodi)
The Purple Mask (Universal, 1916, 16 episodi)
The Scarlet Runner (Vitagraph, 1916, 12 episodi)
The Secret of the Submarine (Mutual, 1916, 15 episodi)
The Sequel to the Diamond From the Sky (American, 1916, 4 episodi)
The Shielding Shadow (Pathé, 1916, 15 episodi)
The Strange Case of Mary Page (Essanay, 1916, 15 episodi)
The Yellow Menace (Serial Film Co, 1916, 16 episodi)
1917
The Fatal Ring (Pathé, 1917, 20 episodi)
The Fighting Trail (Vitagraph, 1917, 15 episodi)
The Gray Ghost (Universal, 1917, 16 episodi)
The Hidden Land (Pathé, 1917, 15 episodi)
Jimmie Dale Alias the Grey Seal (Monmouth, 1917, 16 episodi)
The Lost Express (Signal, 1917, 15 episodi)
The Mystery of the Double Cross (Pathé, 1917, 15 episodi)
The Mystery Ship (Universal, 1917, 18 episodi)
The Neglected Wife (Pathé, 1917, 15 episodi)
Patria (Pathé, 1917, 15 episodi)
The Railroad Raiders (Signal, 1917, 15 episodi)
The Red Ace (Universal, 1917, 16 episodi)
The Secret Kingdom (Vitagraph, 1917, 15 episodi)
The Seven Pearls (Pathé, 1917, 15 episodi)
Vengeance and the Woman (Vitagraph, 1917, 15 episodi)
Voice on the Wire (Universal, 1917, 15 episodi)
Who is Number One? (Paramount, 1917, 15 episodi)
1918
The Brass Bullet (Universal, 1918, 18 episodi)
Bull’s Eye (Universal, 1918, 18 episodi)
A Daughter of Uncle Sam (Jaxon, 1918, 12 episodi)
The Eagle’s Eye (Wharton, 1918, 20 episodi)
A Fight for Millions (Vitagraph, 1918, 15 episodi)
Hands Up (Pathé, 1918, 15 episodi)
The House of Hate (Pathé, 1918, 20 episodi)
The Iron Test (Vitagraph, 1918, 15 episodi)
The Lion’s Claw (Universal, 1918, 18 episodi)
The Lure of the Circus (Universal, 1918, 18 episodi)
The Master Mystery (Octagon Films, 1918, 15 episodi)
The Red Glove (Universal, 1918, 18 episodi)
The Silent Mystery (Burston, 1918, 15 episodi)
The Wolves of Kultur (Pathé, 1918, 15 episodi)
A Woman in the Web (Vitagraph, 1918, 15 episodi)
1919
The Adventures of Ruth (Pathé, 1919, 15 episodi)
The Black Secret (Pathé, 1919, 15 episodi)
Bound and Gagged (Pathé, 1919, 10 episodi)
The Carter Case (Oliver Films Inc, 1919, 15 episodi)
Elmo the Mighty (Great Western, 1919, 18 episodi)
The Fatal Fortune (SLK Serial Corp., 1919, 15 episodi)
The Great Gamble (Pathé, 1919, 15 episodi)
The Great Radium Mystery (Universal, 1919, 18 episodi)
Lightning Bryce (National, 1919, 15 episodi)
The Lightning Raider (Pathé, 1919, 15 episodi)
The Lion Man (Universal, 1919, 18 episodi)
The Lurking Peril (Wistaria, 1919, 15 episodi)
Man of Might (Vitagraph, 1919, 15 episodi)
The Masked Rider (Arrow, 1919, 15 episodi)
The Midnight Man (Universal, 1919, 18 episodi)
The Midnight Man (Universal, 1919, 18 episodi)
The Mystery of Thirteen (Burston Films, 1919, 15 episodi)
The Perils of Thunder Mountain (, 1919, 15 episodi)
Smashing Barriers (Vitagraph, 1919, 15 episodi)
Spiders [Die Spinnen] (Decla-Bioscop, 1919, 2 episodi)
The Terror of the Range (Pathé, 1919, 7 episodi)
The Tiger’s Trail (Pathé, 1919, episodi)
The Trail of the Octopus (Hallmark, 1919, 15 episodi)
A Woman in Grey (Serico, 1919, 15 episodi)
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