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Carnage. Sipario. Un domicilio coatto.

Carnage. Sipario. Un domicilio coatto.  La prima cosa che uno spettatore poco avveduto potrebbe dire, quasi certamente,  riguardo questo film, è che si tratti di un film teatrale. Nulla potrebbe essere più vero e sbagliato, allo stesso tempo. Carnage denuncia la sua teatralità fino da subito, il testo è dichiaratamente teatrale, l’accompagnamento musicale sembra essere nato per accompagnare una farsa e ovviamente quei due grossi alberi che fanno da contorno, all’atto delittuoso, non possono che far pensare a delle quinte, nemmeno tanto immaginarie. Allo stesso modo, quando si passa dal prologo al vero centro dell’azione, sono i personaggio a crearle, in perfetto accordo con quelle viste all’esterno della casa/palcoscenico. I loro volti, le loro posizioni rispetto agli altri, lasciano presagire lo scontro imminente. Ma Carnage pur essendo teatrale non è teatro al Cinema, per niente. Innanzitutto perché non è attuale, non si fa nel momento in cui lo stiamo osservando ma ci viene offerto già vecchio e non più rispondente all’attualità, caratteristica peculiare del Cinema, che nasce non appena qualcuno urla “Azione!”, appunto. E allora perché scegliere questa forma narrativa? E quale forma migliore potrebbe esserci per mettere in scena una farsa borghese, una pantomima esistenziale, una morale e una dignità tenuta con gli spilli e pronta a cadere sotto colpi, tutto sommato, lievi? Polansky mette in scena un suo gioco al massacro, 4 criceti in una gabbia, convinti di essere al sicuro, nel giusto, supportati dalla forza del loro stauts sociale o della loro presunta intelligenza e/o cultura. Abitano un vestito che li fa sentire forti, in grado di giudicare e dirimere controversie in maniera pacata o decidere della vita e della morte di chi sta sotto di loro nella scala sociale, che sia essere umano o animale, paziente o criceto. Cavie, in ogni modo. E cavie ritengono quelli fuori da quella stanza dei bottoni che animano, cavie sono loro, inconsapevoli. Il loro essere più profondo, però, viene fuori impetuoso, come un getto di vomito caldo ricopre le catalogate certezze e allo stesso tempo scopre i nervi tesi, scatenando il massacro, quello vero e non il futile litigio di due ragazzini. Una farsa appunto, che si fa e si scopre tale. Andando oltre potremmo pensare che sulle scelte di Polanski abbia pesato anche il suo periodo di domicilio coatto, il fatto di non poter mettere piede a New York, così come non è permesso ai 4 di andare oltre le mura della casa/palcoscenico(pena la discoperta del fatto di essere a Parigi), o il brutale disvelamento della loro apparente moralità, della loro etica da catalogo, quella stessa che lo accusa, a torto o a ragione. E non è forse il Cinema stesso una farsa borghese? Per apprezzarlo occorre accettare dei compromessi, fingere di credere a qualcosa pur sapendo che non corrisponde, in alcun modo, alla realtà. Carnage è un film godibile, un film da camera, da camera con vista, intimo ma non intimista, immorale ma mai moralista. Ma cosa direbbe, quasi certamente, uno spettatore avveduto?  “Era veramente da tanto che non vedevo un Kammerspiel.”. Lo spettatore ha veduto.

Non si sfugge al Dio del massacro.

Michele Salvezza

Carnage
(Francia-Germania-Polonia/2011)
Regia: Roman Polanski
Soggetto: Yasmina Reza (dalla sua pièce teatrale “Le Dieu du Carnage”)
Sceneggiatura: Roman Polanski, Yasmina Reza
Musiche originali: Alexandre Desplat
Fotografia: Pawel Edelman
Montaggio: Hervé de Luze
Scenografia: Dean Tavoularis
Costumi: Milena Canonero
Interpreti principali: Jodie Foster, Kate Winslet, Christoph Waltz, John C. Reilly
79′



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