Vol spécial > Fernand Melgar

articolo pubblicato in Rapporto Confidenziale numero35 – Speciale Locarno 64. Pagg. 127-134

Svizzera – 2011 – 35mm – francese – colore – 103’
64. Festival internazionale del film di Locarno | Concorso internazionale | Prima mondiale

di Roberto Rippa

Ogni anno, in Svizzera, migliaia di persone – uomini e donne – vengono incarcerate senza processo né condanna.
Per la sola ragione di risiedere illegalmente sul territorio, possono essere private della libertà per un periodo di due anni in attesa della loro espulsione.
Dopo “La Forteresse” , che trattava delle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo in Svizzera, Fernand Melgar posa il suo sguardo sull’altra estremità della catena, ossia sulla fine del percorso migratorio.
Il cineasta si è immerso nel corso di nove mesi nel centro di detenzione amministrativa di Frambois, a Ginevra, uno dei 28 centri di espulsione per Sans papiers in Svizzera.
A Frambois si trovano rinchiusi alla rinfusa sia richiedenti asilo la cui domanda è stata rifiutata sia clandestini.
Alcuni tra questi si sono stabiliti in Svizzera da anni, hanno costituito una famiglia, lavorano, versano i contributi alle assicurazioni sociali e mandano i loro figli a scuola. Questo fino al giorno in cui i servizi cantonali di immigrazione decidono arbitrariamente di chiuderli in carcere per garantire la loro partenza dalla Svizzera. Il problema è che nessuno tra i detenuti è preparato a partire volontariamente, inizia quindi un lungo accanimento amministrativo per forzarli a farlo.
Dietro le porte chiuse delle carceri, il faccia a faccia tra il personale e i detenuti assume col trascorrere dei mesi, una dimensione di intensità a tratti insostenibile. Da una parte, una piccola squadra unita, motivata e dai solidi valori umani, dall’altra uomini alla fine della loro corsa, vinti, esauriti dalla paura e lo stress. Si allacciano quindi rapporti di amicizia e odio, rispetto e ribellione, gratitudine e rancore. Fino all’annuncio dell’espulsione, spesso vissuto dai detenuti alla stregua di un tradimento, come un’ulteriore pugnalata.
Questa relazione di «vita o morte», come è provato purtroppo dall’episodio più drammatico del film, si svolge per la maggior parte del tempo tra disperazione e umiliazione. Annientati dalla legge e dal suo implacabile ingranaggio amministrativo, coloro che si rifiutano di partire volontariamente verranno legati e ammanettati, costretti a indossare elmetti e pannolini, e imbarcati di forza su un aereo. In questa situazione estrema, la disperazione ha un nome: vol spécial.

Nel settembre del 2006, in Svizzera – democrazia diretta che prevede che ogni decisione venga presa dai cittadini attraverso votazioni locali o nazionali – sono state sottoposte al popolo una nuova legge sugli stranieri e una modifica della legge vigente sul tema del diritto d’asilo, entrambe già inasprite nel corso degli anni ‘90 (1). Le due proposte, oggetto di violente, costose e capillari campagne di disinformazione dal tenore xenofobo e palesemente razzista e, soprattutto, la scarsa informazione da parte dei votanti, hanno convinto la schiacciante maggioranza, che ha permesso la loro trasformazione in leggi. A proporre i temi e a sostenerli, il primo partito in Svizzera (2), che si propone come moderno portatore di valori conservatori ma che in realtà basa la sua ideologia su paura, razzismo e xenofobia. I risultati concreti – leggi restrittive, contrarie ai più elementari diritti dell’uomo e confuse al punto di lasciare spazio a una pericolosa arbitrarietà nella loro applicazione – sono l’oggetto del film di Melgar, ideale capitolo successivo de “La forteresse” (3) del 2007, che si concentrava sulla procedura di richiesta d’asilo in Svizzera.
Il regista entra con la sua troupe nel carcere amministrativo di Frambois – nelle immediate vicinanze di Ginevra, per una fatale ironia sede delle famose quattro Convenzioni che costituiscono la base del Diritto internazionale umanitario – creato appositamente per accogliere clandestini e richiedenti asilo la cui domanda è stata rifiutata (in altri Cantoni le strutture sono quelle usate per altri tipi di detenzione, compresa quella per reati penali). Da qui, le persone incarcerate senza avere commesso alcun crimine verranno espulse dal Paese, alcune di loro attraverso un “volo speciale”, vere e proprie deportazioni e occasione per una violenza fisica (4), dopo una lunga serie di psicologiche, per essere rimandate nei loro luoghi di origine. E non importa se c’è di mezzo una famiglia, se ci sono figli da cui separarsi probabilmente per sempre. Le nuove leggi non tengono conto di alcuna scissione, per brutale che sia.
Nel carcere di Frambois, Melgar segue la vita quotidiana di carcerati e personale, una vita che, all’apparenza e non volendo vedere le porte delle stanze chiudersi a doppia mandata ogni sera e le strazianti visite dall’esterno, sembrerebbe quasi serena. Non è un caso: il direttore e i suoi collaboratori svolgono il loro lavoro con umanità. Ma Frambois rimane un carcere. Un carcere in cui i giorni passano senza che si possa contare nemmeno sulla speranza, dal momento che l’esito di quella permanenza non potrà mutare, né su un preavviso, dal momento che i prigionieri verranno prelevati a sorpresa senza che possano conoscere in anticipo la data della partenza.
Melgar, coerente con lo stile che contraddistingueva “La forteresse”, non cerca colpi di scena ad effetto né la dimostrazione di tesi precostituite. Osserva, testimonia e riporta, tentando persino di tenere in equilibrio le varie posizioni e dando loro uguale spazio. Del resto, sa di non averne bisogno: ciò che si vede sullo schermo è l’aberrante risultato di leggi che vanno cambiate.
Non avrebbe comunque bisogno di forzare contrapposizioni tra le persone, qui si tratta di mostrare i veri colpevoli: le leggi votate da gente che non ha idea di cosa stesse votando accontentandosi di basare la propria conoscenza sugli slogan ad effetto dei partiti reazionari.
“Vol spécial” è un documento sulla crudeltà e disumanità di una legge ma anche un efficace saggio su come sia possibile convincere la gente attraverso la manipolazione dell’informazione, politica  e non.
Nel film – che non si limita a mettere a nudo la povertà umana della Svizzera ma parla all’intero Occidente – non ci sono buoni o cattivi, né esiti consolatori (per un caso che si chiude felicemente, molti altri non avranno nemmeno il conforto della speranza), non c’è modo di mettersi l’anima in pace.
Però i cattivi ci sono eccome: si trovano dall’altra parte dello schermo.

Fernand Melgar ha seguito alcuni tra gli ex detenuti di Frambois una volta rientrati nei loro Paesi. Il risultato di queste visite si compone di alcuni documentari Web co-prodotti da RTS e Arte e che saranno distribuiti dall’inizio del 2012.

A Locarno, “Vol spécial” ha ottenuto il premio assegnato dalla Giuria dei giovani.

Roberto Rippa

Note

(1) Nel giugno del 1994, la popolazione svizzera respinge una legge che permetta agli stranieri nati in Svizzera di ottenere la cittadinanza attraverso una procedura semplificata. Malgrado la maggioranza dei votanti si esprima a favore (1’059’025 contro 1’018’188 contrari), non si ottiene la maggioranza dei Cantoni. Il 4 dicembre del 1994, una nuova legge federale sulle misure coercitive in materia di diritto agli stranieri viene accettata dal popolo. I votanti favorevoli sono 1’500’000, i contrari un terzo. La legge prevede una lotta agli abusi in materia di asilo. In pratica, costringe  coloro che non hanno ottenuto asilo o i clandestini presenti nel Paese a lasciare la Svizzera. Il primo dicembre del 1996, viene votata l’iniziativa popolare “Contro l’immigrazione clandestina”. Questa prevede l’impossibilità a chi è entrato clandestinamente in Svizzera, di chiedere asilo, introduce numerose limitazioni del diritto di ricorso a chi si è visto rifiutare la richiesta di asilo e introduce l’amministrazione da parte della Confederazione dei beni dei richiedenti che esercitano attività lucrativa. L’oggetto viene rifiutato di misura. Il 13 giugno 1999, il popolo si esprime sul decreto federale concernente misure urgenti nell’ambito dell’asilo e degli stranieri. In sintesi, il decreto prevede che ai profughi di guerra non venga più concesso asilo bensì permessi provvisori che permettano alla Svizzera di disporre il loro rientro nei Paesi di origine una volta terminato il conflitto. I casi di persecuzione personale non vengono più presi in considerazione. La legge costringerà molti profughi provenienti dalla ex Iugoslavia a fare ritorno nei loro Paesi di origine, senza tenere conto del fatto che i loro figli hanno frequentato le scuole in Svizzera, dove hanno anche sviluppato i loro rapporti sociali, e sono costretti a tornare in una nazione a loro spesso sconosciuta. Il decreto viene accettato dal popolo con 1’443’137 voti favorevoli e 601’389 contrari.
Fonte: Confederazione svizzera, Cancelleria federale

(2) Il partito in questione, l’Unione democratica di centro (UDC), è nato nel 1971 dalla fusione tra il Bauern,Gewerbe und Bürgerpartei (BGB, partito dei contadini, degli artigiani e dei borghesi), presente soprattutto nelle campagne di Zurigo e Berna, e di due partiti moderati della Svizzera tedesca. Nella Svizzera francese l’UDC prende spesso il nome di Parti des paysans, artisans et indépendants (PAI). Il BGB aveva partecipato fino al 1929 a vari governi federali. I partiti che hanno dato vita all’UDC si sono sempre caratterizzati come partiti tradizionalisti, molto legati all’indipendenza dei cantoni rispetto allo Stato federale. L’UDC è sempre stata presente in Consiglio federale con un rappresentante fino al 2003 e con due in seguito. Dal 1979, con l’elezione di Christoph Blocher al Consiglio nazionale (l’equivalente svizzero della Camera italiana), l’UDC ha cominciato a spostarsi sempre più a destra. L’UDC si era sempre caratterizzata come una formazione politica moderatamente conservatrice, attenta a contenere le politiche dei radicali e dei socialisti. Rappresentava la componente rurale ed agricola del paese, legata all’indipendenza dei corpi sociali intermedi, famiglie ed imprese in primis. Con Blocher, milionario imprenditore (dal 2004 al 2007 ha diretto il Dipartimento federale di giustizia e polizia da cui è stato estromesso per l’accusa di scarso rispetto per la collegialità), il partito si è avvicinato alle posizioni liberal-conservatrici. L’UDC è riuscita, anche grazie ad una propaganda spesso definita populista e razzista (cf. la campagna delle “pecore nere” nel 2007) e una politica di opposizione alla naturalizzazione degli immigrati, ad essere identificata da una parte della popolazione come baluardo della tradizione elvetica e difensore dei ceti sociali apparentemente più minacciati da una supposta concorrenza degli immigrati. [fonte: Wikipedia] È il primo partito in Svizzera.

(3) Il film ha ottenuto il Pardo d’oro nel 2007 nella sezione Cineasti del presente.

(4) Augenuaf Zürich, ONG che si occupa di diritti umani (www.augenauf.ch), ha realizzato un video agghiacciante in cui viene riprodotta fedelmente la procedura di preparazione delle persone che verranno imbarcate su un volo speciale. Lo potete trovare qui.

Vol spécial Regia, produzione: Fernand Melgar • Fotografia: Denis Jutzeler • Montaggio: Karine Sudan • Musiche: Wandifa Njie • Suono: Christophe Giovannoni • Effetti speciali: Daniel Wyss • Aiuto regia: Elise Schubs • Produzione: Climage • Coproduzione: Arte G.E.I.E, RTS Radio Télévision Suisse • Distributore svizzero: Look Now! • Lingua: francese • Paese: Svizzera • Anno: 2011 • Durata: 100’
www.volspecial.ch/it
“Vol spécial” è stato girato nel carcere amministrativo di Frambois (Ginevra) e all’aeroporto internazionale di Ginevra da febbraio ad agosto del 2010.

Fernand Melgar (foto: Giulio Tonincelli)

Fernand Melgar è nato nel 1961 in una famiglia di andalusa esiliata a Tangeri. Nel 1963, accompagna i suoi genitori che emigrano in Svizzera per lavorare con un permesso stagionale e portano con sé i figli come clandestini. Regista e produttore indipendente e autodidatta, dal 1985 fa parte dell’associazione Climage, punto di riferimento per il cinema documentario in Svizzera. Nel 2008, il suo documentario “La forteresse” ottiene il Pardo d’oro al Festival internazionale del film Locarno e numerosi altri riconoscimenti internazionali.

Svizzera, stranieri e asilo, una lunga storia di discriminazioni
di Francesco Bonsaver

La patria della Croce Rossa, il Paese depositario della Convenzione di Ginevra, ha una lunga tradizione di discriminazione verso gli “altri”. Nel 1931 nacque in Svizzera la legge degli stranieri e istituito l’apposito corpo di polizia degli stranieri.
Caso unico al mondo.
Codificare due leggi distinte, una per gli elvetici e l’altra per i non svizzeri, significa concepire per lo stesso reato due pene diverse in base alla nazionalità di chi lo ha commesso. È dunque nel solco della tradizione discriminatoria che nel 2006 furono approvate in votazione popolare la revisione della legge degli stranieri e il diritto all’asilo. Nella nuova legge degli stranieri fu introdotta un’ulteriore discriminazione, distinguendo tra stranieri di serie A e quelli di serie B. Il cittadino dell’Unione europea si vede riconosciuti diritti negati al migrante extracomunitario. Ad esempio, l’extracomunitario lavoratore e residente da oltre dieci anni in Svizzera non ha l’automatico diritto al domicilio, non gode della libertà di movimento all’interno del Paese e il diritto al ricongiungimento familiare è fortemente limitato. Se allo straniero originario di un Paese UE questi diritti sono automaticamente riconosciuti, l’extracomunitario dipende dall’arbitrio delle autorità, libere di concederli o negarli senza motivazione.
Ma è nel campo del diritto all’asilo che la Svizzera si distingue maggiormente per la sua linea dura. Il reato di clandestinità, ossia la privazione della libertà perché sprovvisti di documenti seppur senza aver commesso reati, esiste in Elvezia da ormai cinque anni.
L’incarcerazione può durare fino a diciotto mesi per le persone aventi compiuti i 15 anni, dodici mesi invece per i ragazzi con meno di quindici anni. Una privazione della libertà concepita dal legislatore come strumento per convincere le persone a collaborare per il loro rimpatrio. Oppure viene comminata in attesa di un “vol spécial”.
Ma gli ostacoli alla domanda d’asilo nascono fin dall’inizio della procedura. La Svizzera non entra nemmeno in materia sulla domanda di una persona sprovvista di documenti. Un paradosso ammesso dallo stesso ufficio federale della migrazione: “Secondo la nostra esperienza, una persona perseguitata dalle autorità del suo Paese non si mette in contatto con esse per ottenere un documento ufficiale”.
Recentemente, la Svizzera ha fatto un passo ulteriore nel negare il diritto all’asilo riconosciuto invece negli altri Paesi. Per chi sfugge la morte per aver rifiutato di prestare servizio militare nel proprio Paese, la domanda d’asilo in Svizzera non viene neanche presa in considerazione. I non entrati in materia e le persone la cui domanda d’asilo è stata respinta ma impossibilitati nel rientrare nel Paese d’origine perché rifiutati dalle autorità locali, sono esclusi dall’aiuto sociale. Questo vale per tutti: anziani, donne e bimbi compresi. Per evitare le critiche di trattamento disumano, la Svizzera ha inventato la clausola d’aiuto urgente per queste persone. Le forme di aiuto urgente variano da cantone a cantone, ma lo scopo da perseguire è unico: rendere loro la vita impossibile affinché lascino la Svizzera.

Francesco Bonsaver per RC

La polemica
di RR

Il Festival del film di Locarno si è chiuso ormai da settimane ma la polemica innescata dal Presidente della giuria del Concorso internazionale, il produttore Paulo Branco, che si è scagliato con una veemenza degna di miglior causa contro il film di Fernand Melgar, non accennano a diminuire, arrivando al contrario a varcare i confini nazionali, come è successo con Edouard Waintrop, delegato generale della Quinzaine des réalisateurs di Cannes, che ha difeso il film sul suo blog Cinoque, ospitato dal giornale francese Libération.
Materia del contendere, l’accusa al film di essere fascista. Il motivo? Il film documenta la vita all’interno del carcere amministrativo di Frambois, non mancando di mostrare il punto di vista dei carcerieri.
Un’apparente neutralità che ha portato Branco a chiedersi: “Perché il film non ponga mai i gentili funzionari che filma con tanta compiacenza alle conseguenze dei loro atti?”, come a creare una sorta di confronto tra vittime e carnefici. Un documentarista però deve documentare, opera già difficile di per sé, viste le innumerevoli possibilità di fornire anche involontariamente un punto di vista in fase di montaggio del molto materiale girato. Ma, soprattutto, Branco pare avere preso un grosso granchio. Non solo perché la sua accusa è totalmente priva di fondamento, ma anche perché lo scopo dichiarato di Melgar è quello non di porre a confronto guardie o direttore del carcere con le vittime, bensì lo spettatore con le conseguenze di alcune scelte non troppo ponderate prese in occasione di votazioni del recente passato. E in questo il film centra perfettamente il suo scopo.
Scarsissimo presidente di una scarsa giuria che ha premiato le opere più classiche tralasciando di fatto tutto ciò che di innovativo o diverso era in programma, Paulo Branco ha conosciuto fino alla maggiore età la dittatura di Salazar in Portogallo. La famiglia di Melgar è fuggita dalla Spagna di Franco ed è stata costretta a portare clandestinamente i figli in Svizzera nel primo periodo di permanenza nel Paese, dal momento che il concetto di ricongiungimento familiare non era noto allora come non lo è più ora.
Branco vive nella Francia di Sarkozy, dove lavora come produttore. Melgar in Svizzera, dove porta avanti la sua missione di denunciare il fascismo che si nasconde – ma nemmeno più troppo – nelle istituzioni.

Misure coercitive
da www.volspecial.ch

Sulla base della legge federale sulle misure coercitive, gli stranieri presenti illegalmente sul territorio svizzero, si tratti di uomini o donne al di sopra dei 15 anni di età, posso venire incarcerati per un periodo di 24 mesi in attesa della loro espulsione dalla Svizzera. Pochi cittadini conoscono questa legge, che è stata votata da una schiacciante maggioranza di essi nel 1994 e che è stata adottata da tutti i cantoni svizzeri senza eccezione alcuna.
Tra le 28 carceri cantonali che praticano la detenzione amministrativa in aggiunta a quella criminale, Frambois rappresenta un caso speciale: risultato di un accordo tra i cantoni di Ginevra, Neuchâtel e Vallese, Frambois è la prima struttura a praticare unicamente misure restrittive e viene duramente criticata per i suoi alti costi di gestione e per la sua relativa confortevolezza. Soprattutto viene criticata da Zurigo che, al contrario, adotta metodi ben più duri. Va però sottolineato il fatto che Frambois ha il più alto tasso di successo nei rinvii: l’86% contro l’60% circa di Zurigo.
Frambois è stato inaugurato nel giugno del 2004 e si trova alla periferia di Ginevra. La Consigliera di stato Micheline Spoerri non ha fatto mistero delle difficoltà che Frambois ha affrontato: “Il suo obiettivo è quello di rispondere con intelligenza e umanità a una legge che come unico scopo quello di detenere persone che non hanno commesso crimini o reati, per poter assicurare che il processo di deportazione venga portato a termine con successo. Non essendo stata questa operazione ancora definita da una legge federale, è stato necessario inventare un sistema speciale di detenzione amministrativa. La sfida era importante”.
All’interno di questo mondo carcerario, si trovano 22 celle equipaggiate con un frigorifero e un televisore.
I detenuti sono liberi di lasciare le loro celle tra le 8.00 e le 21.00. La stanza comune al piano terreno è l’area centrale di Frambois. È equipaggiata con tavoli, sedie e un tavolo da ping pong. I detenuti vi trascorrono la maggior parte del tempo. Discussioni, giochi , pasti e persino visite dei cappellani si tengono qui.

Guarda l’intervista al regista Fernand Melgar su RC



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