Luca Mosso

La presente intervista è stata pubblicata in Rapporto Confidenziale numero 35, speciale Locarno 64 – p.86-89

Luca Mosso. Critico cinematografico e direttore di Filmmaker Film Festival. Filmmaker è un festival che sostiene con contributi produttivi il cinema giovane e indipendente, nato nel 1980 e protagonista cittadino nella ricerca e nel sostegno del nuovo cinema italiano . I primi lavori di Silvio Soldini, Bruno Bigoni, Paolo Rosa, Michelangelo Frammartino, Alina Marazzi, Giovanni Maderna e più recentemente Martina Parenti, Sergio Basso, Lara Fremder, Donatella Di Cicco sono stati realizzati anche grazie ai contributi del bando produttivo del festival. Negli ultimi quindici anni Filmmaker ha allargato la sua attenzione alle migliori espressioni del documentario e della non fiction internazionale con un’edizione monografica (Doc, nel 1996) e un concorso che dal 1998 mette a confronto le migliori espressioni del cinema internazionale di ispirazione sociale (Daniele Segre, Zhang Yuan, Lisandro Alonso, Jennifer Dworkin, Jia Zhang-Ke, Leonardo Di Costanzo, Daniele Incalcaterra, Loredana Bianconi, Rithy Panh, Peter Forgacs, Eyal Sivan tra i premiati). Nel 1999 ha inaugurato una serie di personali dedicate ai maestri del cinema della realtà: Johan van der Keuken, Frederick Wiseman, Petr Forgacs, Rithy Panh, Ulrich Seidl, Luc e Jean-Pierre Dardenne, Claire Simon hanno presentato a Milano il proprio lavoro mentre di Errol Morris e Emile de Antonio sono state allestite in prima europea e italiana delle retrospettive complete. Le monografie, edite da Il Castoro, Falsopiano e AgenziaX, costituiscono un riferimento per gli studi italiani sul documentario. [www.filmmakerfest.org]

 

Luca Mosso, con Bruno Oliviero, ha coordinato il film collettivo "Milano 55,1. Cronaca di una settimana di passioni" (Italia/2011). Leggi la recensione da RC35 speciale Locarno 64.

 

Milano 55,1. Una settimana di passioni / Intervista con Luca Mosso
durata: 14’55" | formato: HD 1280×720 | lingua: italiano
www.vimeo.com/30796721
crediti /// Intervista a cura di: AG (Rapporto Confidenziale) / Realizzazione: Emanuele Dainotti con Stefano Scagliarini e Giulio Tonincelli / Post-produzione: Alessandro G. Capuzzi e Emanuele Dainotti / Produzione: Sette Secondi Circa (www.settesecondicirca.com) / Musica: Digital Primitives (Brano: “Bones”. Album: “Digital Primitives”) CC BY-NC-ND 3.0

 

Intervista a Luca Mosso
di Alessio Galbiati

Alessio Galbiati: “Milano 55,1. Cronaca di una settimana di passioni” è un progetto collettivo coordinato da te e Bruno Oliviero. Come nasce il progetto? Quanto tempo prima della settimana di passione è nata l’idea di seguire gli ultimi sette giorni di campagna elettorale?

Luca Mosso: Abbiamo iniziato a girare la domenica precedente (22 maggio; NdR), fra il primo ed il secondo turno (il primo turno si è svolto il 15-16 maggio, il secondo il 29-30 maggio 2011; NdR), ed abbiamo deciso di fare il film quattro giorni prima. La prima idea è arrivata la sera dei risultati del primo turno, eravamo al teatro dell’Elfo. Le proporzioni del risultato erano clamorose e ci siamo resi conto che si stava manifestando un cambiamento molto consistente e molto inaspettato. Perlomeno in questi termini. Ovviamente ci sono pure ragioni molto profonde, di lungo periodo.
Eravamo di fronte ad un momento in cui c’era una manifestazione chiara ed evidente di ciò che stava succedendo. Ed il cinema è il mezzo adatto per raccontare questi movimenti rapidi, attraverso, appunto, un tempo ed uno spazio limitati.
Quella sera ci siamo subito messi a discutere, a ragionare su cosa potevamo fare, l’abbiamo fatto io e Bruno Oliviero, ma c’erano anche Paola Piacenza e Chiara Brambilla. Ci siamo guardati negli occhi e ci siamo detti: “facciamo un film”.

Io ho ricordato che nel 1993 un gruppo di registi vicini al festival Filmmaker, anche se non coincidevano con il festival, avevano fatto un film sul ballottaggio fra Dalla Chiesa e Formentini, e proprio quelle elezioni hanno dato avvio alla stagione della destra a Milano (il riferimento è al documentario, video si diceva all’epoca, “Milano, 20 giugno 1993” nato da un’idea di Dario Barone, Silvano Cavatorta, Gianfilippo Pedote e Francesco Virga, all’interno dello Studio Equatore e all’Area Film. «L’ idea di documentare la “storica” giornata si sviluppa rapidamente. Bastano due giorni di riunioni per mobilitare più di cinquanta persone, tra registi, operatori e giornalisti. Così vengono formate sedici troupe televisive, pronte a leggere la città con un occhio diverso da quello invadente e talvolta banale dei mass media ufficiali. C’è curiosità in ogni luogo e, nei vari momenti della giornata, sino all’atto finale, in piazza del Duomo, con i vincitori che esultano. Poi il silenzio della notte. Incomincia il lungo e complesso lavoro di montaggio dei materiali. Il video collettivo è pronto: una giornata particolare è entrata nella memoria della città»; fonte T. Giuseppe, Corriere della Sera 29 giugno 1993; NdR). La percezione era che questa stagione stesse per finire e che il nostro film avrebbe potuto raccontare la fine di questo periodo e, forse, l’inizio di qualcosa d’altro. Questa era l’ipotesi di partenza.
Io avevo paura di un film di sola testimonianza, di un film fatto di tante cose, di tutte quelle cose che succedevano. Con Bruno abbiamo subito pensato di cercare una struttura narrativa, che ovviamente poggiasse sulla scansione dei giorni della settimana, l’ultima settimana prima delle elezioni. Trovare una struttura narrativa partendo dalla scansione temporale degli eventi di quella settimana significava avere un’idea molto forte, della quale in quel momento non disponevamo, ma che del resto non abbiamo avuto fino alla fine. La cronaca di una settimana è stata l’idea attraverso la quale abbiamo costruito il film, comunque attenti alla scelta dei personaggi ed ai luoghi da documentare.

Quel cinema che intendiamo noi, cioè un cinema diretto, che non interviene, che minimizza le interviste, che non ha la voce fuori campo, che non ha grafiche esplicative, un documentario che sia narrativo e che racconti quello che sta succedendo e lo proponga allo spettatore con un flusso filmico, necessita d’una visione d’insieme piuttosto ampia. Per farlo è cruciale capire quali sono i posti e i luoghi, le persone ed i personaggi, che ci offrono la possibilità di raccontare quello che volevamo raccontare: la manifestazione di questo cambiamento.

Abbiamo ragionato un po’ ed abbiamo subito scartato l’ipotesi di seguire Letizia Moratti e Giuliano Pisapia, di cui già tutti i media stavano dando conto. Ma noi stavamo facendo, rispetto agli “altri”, un altro tipo di lavoro. Le televisioni ed il web erano pieni di immagini della campagna dei due candidati ed in quel tipo di immagini c’è un controllo reciproco della situazione che a nostro avviso non ci avrebbe portati ad ottenere delle riprese interessanti.

La decisione che prendiamo è quella di seguire due politici che sostengono le rispettive campagne elettorali: Matteo Salvini della Lega Nord per la Moratti e Stefano Boeri del Partito Democratico per Pisapia, scommettendo sull’idea che la loro eccentricità, rispetto al panorama politico, sia una fonte di informazioni e punti di vista più ricca di quella che avremmo avuto nel caso in cui avessimo seguito i candidati sindaci e quindi l’ufficialità della situazione.

Come vedete nel film, Salvini della Lega non risparmia critiche alla Moratti ed al Pdl, e Boeri in alcune sequenze chiave dimostra di avere dei punti di vista differenti da quelli del partito che l’ha sostenuto, come per esempio nella sequenza in cui parla del piano di governo del territorio con l’associazione degli imprenditori edili. Seguire Boeri significava, dal nostro punto di vista, avere delle aperture di prospettiva su quel che sarà la città negli anni a venire, alla luce delle profonde trasformazioni in atto nella città di Milano, vista la sua competenza in ambito architettonico ed urbanistico.

Il terzo punto preliminare per decidere se partire è stato l’avere con noi il punto di vista del Corriere della Sera, cosa che ci garantiva la possibilità di connettere il nostro racconto, la nostra cronaca locale, ad un piano nazionale. Cosa avrebbe fatto Berlusconi? Cosa avrebbe fatto il PD nazionale? Quest’aspetto, sia per la scansione temporale ma soprattutto per le connessioni generali della politica, era indispensabile per il nostro progetto.

Quando abbiamo avuto queste tre cose, che sono state molto semplici da ottenere, non abbiamo dovuto fare chissà che per ottenerle, tranne che ragionarci un po’, cercando di capire quali fossero le persone giuste per il nostro film. Quando abbiamo avuto queste tre cose abbiamo deciso di partire.

Chiara Brambilla ha iniziato a lavorare con Matteo Salvini seguendolo in tutti gli appuntamenti della settimana e Bruno Oliviero, coordinatore del progetto insieme a me, ha seguito Stefano Boeri.

Questa è stata la linea principale di sviluppo del documentario “Milano 55,1”.

AG: Come siete passati alla fase successiva? Come avete proceduto nell’allargare il numero di partecipanti, ed i punti di vista, al progetto?

LM: All’interno di questa linea principale si sono poi aggiunti molti altri episodi.
Abbiamo fatto una convocazione quasi assembleare all’inizio della settimana, chiamando una serie di filmmaker che ci sarebbe piaciuto avere con noi, ed abbiamo iniziato a fare la nostra proposta di film. Abbiamo avuto una risposta immediata e pronta da parte di molte persone. È arrivata Marina Spada, Alina Marazzi ci ha proposto di lavorare su degli archivi – dato che era uno di quegli autori che aveva lavorato al film del ‘93 – facendo un montaggio di quell’esperienza, Marina Spada ha proposto di lavorare con Gabriele Basilico che è stato suo collaboratore nel film “Come l’ombra”, nonché soggetto di un documentario di Marina (“Gabriele Basilico” di Marina Spada, 2003; NdR); Mirko Locatelli, stava lavorando ad un progetto sui musulmani in Italia e ci ha proposto il ritratto delle due ragazze che vedete in “Milano 55,1”. Ad un certo punto con le varie persone che si erano autoconvocate, che avevano aderito alla nostra chiamata, abbiamo iniziato ad allargare la struttura di partenza che, pur avendo delle linee guida, solo in questa seconda fase è stata in grado di aprirsi a diversi punti sensibili della città, a diversi personaggi, allargando così il panorama.

Il numero dei filmmaker è aumentato ogni giorno, anche perché ognuno portava qualcun altro, e si è allargato fin oltre le 70 persone. Prima 30, poi 50, ed alla fine 70. Senza contare le collaborazioni in fase di post produzione. Dunque il tutto ha assunto modalità marcatamente collettive.

Io credo che quest’aspetto del film collettivo fosse indispensabile, e questo per due ordini di ragioni. La prima, pratico/tecnica, era legata al fatto che avevamo bisogno di coprire molte cose contemporaneamente, ed una seconda ragione più sostanziale legata al fatto che, dentro un’esperienza in fieri che si stava in quel momento realizzando, il fatto di essere all’interno di un movimento collettivo, avere diversi sguardi, posizioni, punti di vista, costituisse una ricchezza che reputo importante e fondamentale.

Noi abbiamo fatto questo film per partecipare a questo momento di cambiamento, non semplicemente per assistervi, e l’abbiamo fatto con i mezzi che ci sono propri: ci occupiamo di cinema ed abbiamo fatto un film, sappiamo fare questa roba qui, e l’abbiamo fatta.

AG: Pare piuttosto evidente che questo documentario, sia esso stesso, una fotografia del cinema a Milano, mette insieme tantissimi filmmaker che operano a Milano. “Milano 55,1” appare come un momento collettivo per pensare il cinema in città. Credi che questa unione possa portare alla nascita di nuovi momenti collettivi, di condivisione? O che in qualche modo possa servire per allargare il discorso ‘cinema’ nella città di Milano?

LM: Io sono convinto di questo. Il mio mestiere in questo caso è stato di coordinamento, ma io faccio un festival, sono direttore di Filmmaker, che del momento di formazione e di produzione ha fatto due poli fondamentali del suo lavoro. A noi, cioè al festival che dirigo, piace portare a Milano grandi registi della realtà a fare seminari, far vedere i loro film, e dall’altra parte diamo sostegni di produzione ai giovani che con questo cinema vogliono cimentarsi.

Con quest’esperienza abbiamo chiamato tre o quattro generazioni di cineasti milanesi: Bruno Bigoni che è nato negli anni ‘50, Anna Gorio e Tonino Curagi, anch’essi molto esperti, Marina Spada pure, ma c’è anche una generazione intermedia composta da Bruno Oliviero e altri… Chiara Brambilla, che ha fatto una parte molto consistente del film, è del ‘82, Antonella Grieco – che ha realizzato gran parte della giornata di giovedì – mi sembra sia dell’80… insomma, siamo riusciti a mettere dentro allo stesso progetto diverse generazioni, con una idea di cinema abbastanza simile: costruire un documentario che rispetti e conti molto sull’intelligenza dello spettatore. È un film che, mi pare di averlo verificato anche qui a Locarno in occasione della prima, riesce ad attivare lo spettatore. Ed è un risultato davvero sorprendente perché tutto è stato fatto con una velocità estrema. A Locarno è passato domenica 7 agosto, gli ultimi tagli al montaggio li abbiamo fatto lunedì 1! Il film è davvero il risultato di una corsa e qui a Locarno è stato il primo momento di incontro con il pubblico.

Che qualcuno trovi Salvini simpatico, o viceversa molto antipatico, e che allo stesso tempo lo stesso Salvini si sia riconosciuto dentro il film, secondo me testimonia il fatto che noi abbiamo tenuto un punto di vista, non neutro, perché non è per niente neutro, ma il punto di vista giusto per non dare in un modo autoritario un’interpretazione chiusa del nostro film.
Lo spettatore vede tante cose, ci sono tanti punti di vista anche diversi fra loro, ed solo nel momento della visione che lo spettatore da un’interpretazione di quello che ha visto.

Questo modo di fare il documentario, cioè un documentario senza voce off che ti dica quello che devi pensare, senza un montaggio che ti obblighi a vedere soltanto certe cose. Credo che su questa base abbiamo trovato un bel po’ di filmmaker sintonizzati sulla nostra stessa lunghezza d’onda, affini a questo modo di fare e concepire il cinema. Io credo che questa sia una risorsa di Milano, una città in cui esiste una scuola del documentario, una scuola un po’ distribuita, diffusa, che comprende corsi pratici e teorici, che comprende delle pratiche concrete. A tal riguardo ritengo che il festival Filmmaker abbia molti meriti, ce li ha perché ha fatto vedere i documentari della realtà migliori della stagione, ovviamente a mio parere, ed ovviamente perché li scelgo. Quindi questa cultura di cinema della realtà credo si sia diffusa bene in città.

Non so se il prossimo lavoro sarà un film collettivo, sinceramente non lo credo ma non lo escludo, però spero, che quest’esperienza si possa tradurre in altre occasioni e che faccia venire voglia di fare altri film.
M me lo auguro davvero. Anzi, diciamo che è lo scopo principale per cui io, come direttore di Filmmaker, ho prodotto e coordinato questo lavoro. E di questo sono profondamente convinto.

In alcuni casi specifici, come accennato ad esempio con il caso di Mirko Locatelli, le immagini di questo film sono state date dai registi in maniera entusiastica e volontaria, ma rimangono loro… credo che alcuni di questi pezzi di film siano dentro ad progetti che i singoli autori stanno realizzando. Il finale, per esempio, che è girato da Giovanni Maderna, sta all’interno di un progetto che Maderna sta realizzando con suo figlio da diversi anni: “Tra cielo e terra”, presentato lo scorso anno a Venezia, è proprio la prima parte di questo suo progetto cinematografico che ha come protagonista Eugenio, cioè il bimbo della sequenza finale del nostro film.

Il corpo di “Milano 55,1” è percorso da traiettorie che sono pezzi di altri film o progetti di altri autori.
Non so prevedere che forma queste collaborazioni, o questi altri film, avranno. M auguro proprio che quest’esperienza, molto importante per me e spero anche per altri, produca altre cose; è stato questo lo scopo principale.

AG: Per quanto riguarda il montaggio, immagino che le ore di girato fossero tantissime.

LM: Un centinaio.

AG: Quante persone hanno lavorato al fase di montaggio?

LM: Il montaggio è stato fatto da Carlotta Cristiani e Valentina Andreoli, con l’assistenza di Matteo Mossi, ma anche molte persone in più, perché c’è una questione tecnica molto importante. Il film è stato girato in HD, tranne pochissime eccezioni, con la prevalenza di una certa marca di camere e però una minoranza di altre, poi c’era qualche macchina fotografica che complica la situazione in un modo tutto suo, c’era anche qualche miniDv. C’è stato insomma anche un gran lavoro per uniformate tutto questo materiale, e quindi è stata un’operazione, la nostra, complicata anche dal punto di vista tecnico.

La dimensione collettiva di questo lavoro è stata portata il più possibile avanti. Nel film ci sono alcuni episodi girati quasi esclusivamente da un unico regista, il girato di questi episodi è stato selezionato nella maggior parte dei casi dallo stesso filmmaker che li aveva catturati, o dal suo montatore di fiducia, per cui abbiamo avuto tutto il girato, ma pure una selezione. Abbiamo visto e discusso con ogni singolo filmmaker il materiale che ci veniva portato, e con un paio di passaggi abbiamo poi ottenuto il materiale che conteneva già una selezione ed un’idea di montaggio.

Nelle sequenze di massa, realizzate combinando contributi di 10/15 camere ed operatori differenti, il lavoro è stato ovviamente realizzato con altre modalità preservando però l’idea di elaborazione collettiva. Poi ad un certo punto però si tratta di chiudere, tutta questa massa di materiale deve necessariamente diventare una cosa sola e quindi le scelte di montaggio sono state fatte da Carlotta e Valentina, insieme a me e Bruno Olivero, ovviamente.

Ovviamente ci sono state diverse versioni. Ad un certo punto ce n’era una di quattro ore che non era neanche male.

AG: Lavorare in maniera collettiva è stato difficile o invece è stato sorprendentemente più semplice ed armonico di quanto ci si possa immaginare? Immagino che per un filmmaker trovarsi dentro ad un progetto del genere possa essere concepito come un’esperienza terrorizzante. Com’è lavorare con così tante teste? Oppure, messa in maniera differente, lo spirito e la visione erano talmente condivisi da risultare poi semplice la successiva fase realizzativa?

LM: Che fosse importante il momento eravamo tutti d’accordo. Che avessero tutti la stessa lettura, no. Se andate a vedere nel sito www.milano30maggio.it, nella sezione diario, ci sono le testimonianze di chi l’ha fatto e qualcuno che dice “non so neanche se avrei votato a queste elezioni, ma mi interessava provare a raccontarle”. È vero che non è un film per Pisapia, ma è un film che racconta questa settimana.

Io credo che l’accordo ci sia stato su un piano cinematografico. Che è stato il livello del discorso che ci ha guidati; noi non ci siamo detti che avevamo bisogno di bilanciare la parte politica, mettere uno o l’altro, oppure far venir fuori meglio una parte piuttosto che un’altra. Una volta che abbiamo deciso dove stare, ci siamo poi limitati a montare le cose migliori, ed il film su questa base, secondo me, ha funzionato.

Tieni conto di una cosa però. Tutto questo lavoro è stato girato in una settimana e montato in due mesi, dei tempi piuttosto stretti tenendo conto anche di tutta la post-produzione. Perché il film è stato tutto corretto da Gabriele Cipolla, della Square, con macchine molto potenti ed accurate, mentre il suono è stato fatto allo Studio Barzan da Massimo Mariani. Insomma, è stato fatto tutto come si deve.

AG: E tutto a Milano.

LM: Sì, tutto a Milano. Ed è stata una cosa molto veloce e piuttosto intensa. Poi qualcuno ha scoperto di lavorare molto bene in questo contesto, altri meno… non lo so.
Chiara Brambilla normalmente è abituata a lavorare per mesi con i suoi soggetti, perché il suo metodo presuppone che si debba istituire una relazione con i suoi soggetti, però quando gli abbiamo proposto il progetto, e lei ha accettato, ci è toccato dirle: “Chiara… la regola del gioco è che lunedì abbiamo finito… quindi ti devi giocare le tue carte in quest’arco di tempo contingentato”. Ed io credo che lei con Salvini abbia fatto davvero un ottimo lavoro.
Gigi Giustiniani e Raffaele Rezzonico, che conoscevo ma con i quali non avevo mai avuto modo di lavorare, hanno realizzato un lavoro davvero molto interessante, credo anche grazie al fatto di essere dentro ad un progetto composto da tante idee, alla possibilità di confrontarsi, anche se in fretta.
È chiaro però che ogni autore ha un ego molto forte, ma è questo il bello.

AG: I frammenti del documentario del ‘93 che apre il vostro “Milano 55,1”, la documentazione del ballottaggio Dalla Chiesa – Formentini, descrive l’epoca che ha aperto questa lunghissima stagione politica cittadina e nazionale, che speriamo si concluda il più velocemente possibile. È possibile fare una valutazione dei due lavori e dire che il cinema milanese contemporaneo gode di ottima salute e di una maturità che forse prima non possedeva?

LM: Io non so se goda veramente di un ottima salute. Fare cinema a Milano è sempre molto difficile, troppo difficile e troppo complicato, e comunque la distanza da Roma, da certe istituzioni, è troppo forte. A Milano tutti hanno aderito in modo molto franco, veloce ed entusiasta al nostro progetto, ma appena lo proponi fuori città ti dicono che è troppo milanese… tranne per il Festival di Locarno, che subito ha capito che era un film che poteva piacere ed interessare ad un pubblico europeo.
Io credo che il cinema della realtà a Milano, sia documentario che di finzione, abbia grandi potenzialità e questo film un po’ lo dimostra. Ora dico una cosa che sostiene soprattutto Bruno, ma un film così, realizzato in questi tempi e con questa velocità, lo si poteva fare solo a Milano. Oltretutto c’erano registi che avrei voluto coinvolgere ma che in quel momento non erano in città. C’erano un po’ di persone con noi idealmente ma non materialmente. È sorprendente il risultato perché abbiamo messo insieme, senza poterci spiegare molto, un film con tante persone. E questo mi pare un bel risultato, un risultato promettente se si vuol lavorare bene. Non nascono però che le difficoltà ci sono. Esistono delle buone potenzialità, ma non mi piacciono le posizioni trionfalistiche del tipo: “il cinema a Milano è meglio di quello che si fa a Roma”… perché non è vero.

AG: Però c’è un sacco di gente che è prontissima.

LM: Sul documentario secondo me sì, siamo in una buona situazione.

AG: E lo dimostra il fatto che in pochissimo tempo siete stati in grado di scendere per le strade. Ora ti faccio la solita ed annosa domanda relativa alla distribuzione. Come sarà possibile vederlo, e dove?

LM: La risposta dei festival e delle associazioni è molto forte. A me piacerebbe che questo film uscisse con una distribuzione nelle sale normali, però per ora è solamente una speranza, qualche contatto c’è… credo sia un film che ha bisogno di confrontarsi con la città di Milano prima di tutto, ma anche con altre perché reputo che “Milano 55,1” sia uno strumento con il quale possa essere importante confrontarsi. Da un’idea di Milano, con la quale, prima di tutto i milanesi, ma poi anche gli altri, possano utilmente fare i conti. Riconoscendosi oppure no, ma penso davvero che possa aiutare a fare entrare in relazione con questa immagine della città.
Milano è un po’ carente dal punto di vista dell’immagine, non c’è un immaginario consolidato della città, della propria rappresentazione. C’è una carenza di identità, ed il cinema questa cosa qui la può fare in maniera piuttosto consistente. Non possiamo pensare che l’identità milanese sia affidata ai film di Checco Zalone… è un film divertente che porta lavoro e va benissimo così… ma non può essere tutto lì. C’è Soldini, c’è l’ultimo film di Salvatores… e va bene… ma credo che ci sia la necessità di avere uno sguardo più articolato, più ricco, anche generazionalmente più variato.

AG: Mi domando se la chiave non possa essere proprio quella della polifonia. Avere tanti punti di vista per una città molto difficile da raccontare, in fondo anche da vivere, all’interno della quale ognuno vive la propria traiettoria. Ci voleva un film come “Milano 55,1”, che utilizza questo momento per raccontare la città, forse più che il fatto politico in sé. Oggi che è già passato un po’ di tempo tendiamo a dimenticare quanto accaduto, o comunque a non considerarlo già più come un fatto così importante, ma quel che rimane è la città con i suoi abitanti. Siamo già al dopo Pisapia, siamo già al biglietto aumentato.

LM: Assolutamente sì. Alcuni di questi aspetti sono già presi in considerazione dal film, alcune delle scelte compiute vanno proprio in questa direzione.

AG: Grazie mille per la disponibilità.

LM: Grazie a voi.


Locarno, 4 agosto

 

Milano 55,1. Cronaca di una settimana di passioni
Progetto coordinato da: Luca Mosso, Bruno Oliviero • Realizzato da: Valentina Andreoli, Leonardo Andreozzi, Lucia Andreucci, Riccardo Apuzzo, Yuki Bagnardi, Tommaso Barbaro, Giuseppe Baresi, Pietro Belfiore, Chiara Bellosi, Paolo Benvenuti, Bruno Bigoni, Chiara Brambilla, Tommaso Barbaro, Giovanni Calamari, Ugo Carlevaro, Carlo Cattadori, Bruno Chiaravalloti, Valentina Cicogna, Gabriele Cipolla, Stefano Conca Bonizzoni, Filippo Cordone, Carlotta Cristiani, Tonino Curagi, Piero De Vecchi, Federico Frascherelli, Giacomo Gatti, Gaia Giani, Gigi Giustiniani, Anna Gorio, Antonella Grieco, Teresa Iaropoli, Marco Lamera, Mirko Locatelli, Jacopo Loiodice, Giovanni Maderna, Alina Marazzi, Massimo Mariani, Alice Messa, Matteo Mossi, Luca Mosso, Jacopo Mutti, Simone Olivero, Bruno Oliviero, Enrico Ortu, Andrea Parolin, Claudio Pastafiglia, Gianfilippo Pedote, Daniela Persico, Paola Piacenza, Maria Chiara Piccolo Carlo Prevosti, Antonio Puhalovich, Titta Cosetta Raccagni, Raffaele Rezzonico, Marco Robbiani, Stefania Rossi, Luca Sabbioni, Paolo Sabini, Alberto Saibene, Giuseppe Salerno, Alberto Sansone, Massimo Schiavon, Veronica Scotti, Gabriele Sossella, Marina Spada, Bruno Stucchi, Tekla Taidelli, Giuditta Tarantelli, Guido Targetti, Alessandro Torchiani, Daniele Vascelli, Luigi Vitiello, Stefano Zoja • Con la collaborazione di: Paola Piacenza, Alberto Saibene • Montaggio: Valentina Andreoli, Carlotta Cristiani • Assistente al montaggio, responsabile postproduzione: Matteo Mossi • Suono: Massimo Mariani, Simone Olivero, Tommaso Barbaro • Assistente al montaggio del suono: Andrea Parolin • Color grading: Gabriele Cipolla (Square) • Produzione: Filmmaker Associazione Culturale, Milano • Lingua: Italiano • Paese: Italia • Anno: 2011 • Durata: 100’
www.milano30maggio.it

 

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