Per il suo primo lungo dopo due cortometraggi molto personali e rivelatori di un talento non comune – “Il faut que je l’aime” (1996) e “Les corps ouverts” (1998) – Sébastien Lifshitz sceglie un racconto che fa dell’ellissi la sua cifra narrativa per trattare temi decisamente complessi quali il primo innamoramento come momento di maturità e conseguente distacco dalla famiglia, depressione, malattia, desiderio e lo spaesamento che ne può derivare.
La storia si divide in tre periodi distinti, tra estate e inverno, senza fare ricorso alla consequenzialità cronologica, assenza che pare fare da specchio al tentativo a posteriori del protagonista Mathieu di ricostruire gli eventi nella sua mente.
Nella Loira, in un paesino sul mare nei pressi di Nantes, Mathieu trascorre le vacanze estive con mamma, zia e sorella. Un giorno, incontra sulla spiaggia Cédric, un giovane del posto. Il rapporto tra loro inizia con un lungo scambio di sguardi per sfociare quindi, grazie al più spavaldo Cédric, in una storia concreta. Molti gli ostacoli, soprattutto la paura di Mathieu delle reazioni della sua famiglia in relazione alla sua sessualità.
In “Presque rien”, il protagonista si muove su un terreno cedevole, in un ambiente incapace di offrire reale sostegno o anche solo comprensione in un momento di trasformazione tanto importante: le donne appaiono non di rado come figure pericolose quando non minacciose, volutamente o meno; lo stesso Cédric, spavaldo, vicino e sfuggente allo stesso tempo, nasconde in sé più di una insicurezza, che verrà svelata nel corso del racconto; la famiglia è assente (fisicamente o perché alcuni dei suoi elementi sono minati dalla malattia). Lifshitz, contrapponendo le cupe atmosfere di alcuni snodi della storia alle solari immagini delle vacanze estive, dove tutto sembra assumere un carattere ludico, si addentra con decisione in una storia che vive più del non detto e del non mostrato: totalmente assente il quadro della convivenza tra i due protagonisti; oscuro il momento del gesto (quasi) estremo; i corpi, sempre al centro della scena, filmati a tratti con il solo pudore della distanza mostrando il sesso impetuoso/impacciato come solo in quella età e privandolo di ogni aspetto moralistico. Non lo fa per un vezzo stilistico bensì per estrema padronanza della storia e della materia che tratta. È infatti anche asciutto nel suo ostinato sottrarsi da tutto ciò che possa risuonare come semplificazione psicologica e/o narrativa, nel fare a meno di tutto ciò che avrebbe una parvenza di didascalia o debolezza.
“Presque rien” è un ritratto affettuoso e mai meno che spietato di un’età in cui tutto è assoluto e la scoperta della propria (omo)sessualità un evento che rende improvvisamente forse più innocenti ma anche più vulnerabili mentre noi, ogni volta che abbiamo la sensazione di avere compreso sensibilità e sentimenti dei personaggi, pensando di poterne anticipare le reazioni, ci ritroviamo spiazzati da ciò che accade sullo schermo.
Lifshitz si imponeva nel 2000 con “Presque rien” come un autore di grande rilevanza. Ciò che seguirà nel tempo (“Wild Side”, 2004, “Plein Sud”, 2009, passando per il bellissimo documentario “La traversée” – di cui è oggetto il suo sceneggiatore di sempre Stéphane Bouquet, alla ricerca negli Stati Uniti del padre mai conosciuto – non farà che confermare la sua statura e la peculiarità del suo sguardo.
Roberto Rippa
Una volta ho avuto una discussione con un critico di ”Liberation”: mi diceva che ponendo la questione della famiglia sempre al centro dei miei film, diventandone quasi un elemento ossessivo, come se un individuo non potesse identificarsi al di fuori di essa, costituivo per lui un problema, perché non consideravo altre possibilità di vita. I miei film gli sembrano dire che all’esterno di una cellula familiare reale o ricostituita non sia possibile la felicità, ne alcun altro legame. Mi rendo effettivamente conto che la famiglia è centrale e ossessiva. Questo è legato alla mia storia personale, è una questione che mi segue da sempre. Ripeto: quando si parla di “famiglia” non si deve prendere la parola nel suo senso letterale. In Wild Side il trio che si forma è una famiglia di sostituzione, perché faccio fatica a raccontare il percorso di un individuo. La questione del legame è per me essenziale. Spesso questo legame è assimilato a qualcosa che assomiglia a una famiglia.
(“Non sono un entomologo”, intervista a Sébastien Lifshitz di Adriano De Grandis per SegnoCinema – 19 marzo 2006)
Sébastien Lifshitz (Neuilly-sur-Seine, 21 gennaio 1968) è un regista e sceneggiatore francese. Nel 1998, dopo aver diretto il cortometraggio “Les Corps ouverts”, gli è stato attribuito il Premio Jean Vigo che annualmente viene assegnato al regista francese che meglio si è distinto per indipendenza di spirito e originalità di stile. Nel 2000 ha diretto la regia di “Quasi niente”. Nel 2001 il suo documentario “La Traversée” è stato selezionato alla Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes. Nel 2004 “Wild Side”, storia di una prostituta transessuale, un gigolò magrebino e un disertore russo in fuga dalla guerra in Cecenia, ha vinto il Teddy Award al Festival di Berlino e il Festival internazionale di cinema gay-lesbico di Milano (oggi Mix Milano).
Presque rien
(titolo italiano: “Quasi niente”, Francia/Belgio, 2000)
Regia: Sébastien Lifshitz
Sceneggiatura: Stéphane Bouquet, Sébastien Lifshitz
Musiche originali: Perry Blake
Fotografia: Pascal Poucet
Montaggio: Yann Dedet
Scenografie: Roseanna Sacco
Costumi: Elisabeth Mehu
Interpreti principali: Jérémie Elkaïm, Stéphane Rideau, Dominique Reymond, Marie Matheron, Laetitia Legrix, Nils Ohlund, Réjane Kerdaffrec, Guy Houssier, Violeta Ferrer
100′