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Vol spécial – WebDoc

Come previsto, mesi dopo la realizzazione di “Vol spécial”, presentato al 64. Festival internazionale del film di Locarno lo scorso agosto, viene distribuita via web la serie di documentari che mostra cosa sia accaduto alle persone ritratte nel documentario di Fernand Melgar una volta espulse coercitivamente, in barba al rispetto dei più elementari diritti umani, dalla Svizzera per la sola colpa di non avere i documenti che legittimino la loro presenza sul territorio elvetico alla ricerca di un presente migliore di quello che il loro Paese può garantire loro.
Sono migliaia le persone che ogni anno vengono imbarcate sui “voli speciali” sui quali – legati, costretti a indossare elmetti e pannolini – verranno rimpatriati dopo un periodo di carcerazione in una delle strutture presenti nel Paese, senza avere potuto godere di un processo o subire una condanna.

La serie segue Geordry in Camerun, Wandifa in Gambia, Ragip in Kosovo, Dia in Senegal, Serge e Pitchou in Kenya, raccogliendo le loro testimonianze su come si svolgano le loro vite dopo il rimpatrio forzato attraverso un “volo speciale”.

I documentari, in lingua originale e sottotitolati in francese, sono disponibili all’indirizzo www.volspecial.ch/webdoc

Leggi l’articolo su “Vol spécial” da RC

Guarda l’intervista al regista Fernand Melgar su RC

 

Ogni anno, in Svizzera, migliaia di persone – uomini e donne – vengono incarcerate senza processo né condanna.
Per la sola ragione di risiedere illegalmente sul territorio, possono essere private della libertà per un periodo di due anni in attesa della loro espulsione.
Dopo “La Forteresse” , che trattava delle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo in Svizzera, Fernand Melgar posa il suo sguardo sull’altra estremità della catena, ossia sulla fine del percorso migratorio.
Il cineasta si è immerso nel corso di nove mesi nel centro di detenzione amministrativa di Frambois, a Ginevra, uno dei 28 centri di espulsione per Sans papiers in Svizzera.
A Frambois si trovano rinchiusi alla rinfusa sia richiedenti asilo la cui domanda è stata rifiutata sia clandestini.
Alcuni tra questi si sono stabiliti in Svizzera da anni, hanno costituito una famiglia, lavorano, versano i contributi alle assicurazioni sociali e mandano i loro figli a scuola. Questo fino al giorno in cui i servizi cantonali di immigrazione decidono arbitrariamente di chiuderli in carcere per garantire la loro partenza dalla Svizzera. Il problema è che nessuno tra i detenuti è preparato a partire volontariamente, inizia quindi un lungo accanimento amministrativo per forzarli a farlo.
Dietro le porte chiuse delle carceri, il faccia a faccia tra il personale e i detenuti assume col trascorrere dei mesi, una dimensione di intensità a tratti insostenibile. Da una parte, una piccola squadra unita, motivata e dai solidi valori umani, dall’altra uomini alla fine della loro corsa, vinti, esauriti dalla paura e lo stress. Si allacciano quindi rapporti di amicizia e odio, rispetto e ribellione, gratitudine e rancore. Fino all’annuncio dell’espulsione, spesso vissuto dai detenuti alla stregua di un tradimento, come un’ulteriore pugnalata.
Questa relazione di «vita o morte», come è provato purtroppo dall’episodio più drammatico del film, si svolge per la maggior parte del tempo tra disperazione e umiliazione. Annientati dalla legge e dal suo implacabile ingranaggio amministrativo, coloro che si rifiutano di partire volontariamente verranno legati e ammanettati, costretti a indossare elmetti e pannolini, e imbarcati di forza su un aereo. In questa situazione estrema, la disperazione ha un nome: vol spécial.

Vol spécial – WebDoc
(Svizzera, 2012)
Realizzazione, riprese: Fernand Melgar
Produzione, suono: Elise Shubs
Testi: Fernand Melgar, Elise Shubs
Montaggio: Janine Waeber
Produzione: Climage in collaborazione con Télévision Suisse, Unité films documentaires

www.volspecial.ch/webdoc

www.volspecial.ch (italiano)

Svizzera, stranieri e asilo, una lunga storia di discriminazioni
di Francesco Bonsaver

La patria della Croce Rossa, il Paese depositario della Convenzione di Ginevra, ha una lunga tradizione di discriminazione verso gli “altri”. Nel 1931 nacque in Svizzera la legge degli stranieri e istituito l’apposito corpo di polizia degli stranieri.
Caso unico al mondo.
Codificare due leggi distinte, una per gli elvetici e l’altra per i non svizzeri, significa concepire per lo stesso reato due pene diverse in base alla nazionalità di chi lo ha commesso. È dunque nel solco della tradizione discriminatoria che nel 2006 furono approvate in votazione popolare la revisione della legge degli stranieri e il diritto all’asilo. Nella nuova legge degli stranieri fu introdotta un’ulteriore discriminazione, distinguendo tra stranieri di serie A e quelli di serie B. Il cittadino dell’Unione europea si vede riconosciuti diritti negati al migrante extracomunitario. Ad esempio, l’extracomunitario lavoratore e residente da oltre dieci anni in Svizzera non ha l’automatico diritto al domicilio, non gode della libertà di movimento all’interno del Paese e il diritto al ricongiungimento familiare è fortemente limitato. Se allo straniero originario di un Paese UE questi diritti sono automaticamente riconosciuti, l’extracomunitario dipende dall’arbitrio delle autorità, libere di concederli o negarli senza motivazione.
Ma è nel campo del diritto all’asilo che la Svizzera si distingue maggiormente per la sua linea dura. Il reato di clandestinità, ossia la privazione della libertà perché sprovvisti di documenti seppur senza aver commesso reati, esiste in Elvezia da ormai cinque anni.
L’incarcerazione può durare fino a diciotto mesi per le persone aventi compiuti i 15 anni, dodici mesi invece per i ragazzi con meno di quindici anni. Una privazione della libertà concepita dal legislatore come strumento per convincere le persone a collaborare per il loro rimpatrio. Oppure viene comminata in attesa di un “vol spécial”.
Ma gli ostacoli alla domanda d’asilo nascono fin dall’inizio della procedura. La Svizzera non entra nemmeno in materia sulla domanda di una persona sprovvista di documenti. Un paradosso ammesso dallo stesso ufficio federale della migrazione: “Secondo la nostra esperienza, una persona perseguitata dalle autorità del suo Paese non si mette in contatto con esse per ottenere un documento ufficiale”.
Recentemente, la Svizzera ha fatto un passo ulteriore nel negare il diritto all’asilo riconosciuto invece negli altri Paesi. Per chi sfugge la morte per aver rifiutato di prestare servizio militare nel proprio Paese, la domanda d’asilo in Svizzera non viene neanche presa in considerazione. I non entrati in materia e le persone la cui domanda d’asilo è stata respinta ma impossibilitati nel rientrare nel Paese d’origine perché rifiutati dalle autorità locali, sono esclusi dall’aiuto sociale. Questo vale per tutti: anziani, donne e bimbi compresi. Per evitare le critiche di trattamento disumano, la Svizzera ha inventato la clausola d’aiuto urgente per queste persone. Le forme di aiuto urgente variano da cantone a cantone, ma lo scopo da perseguire è unico: rendere loro la vita impossibile affinché lascino la Svizzera.

Francesco Bonsaver per RC



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