Mr. Arkadin
di Orson Welles Robin edizioni, 2012 |
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Mi fissò con occhi spenti. Le diedi una scrollata.
«Che nome ti ha fatto? Dimmelo!».
Intanto, i poliziotti si erano accertati che l’uomo
era morto. Riadagiarono con cura il corpo sulla pozza
di sangue. Assicurarono la scena del crimine per il
medico e i tizi della scientifica. Di lí a qualche istante sarebbero tornati a occuparsi di me.
«Mily… ti prego…».
Scrollò le spalle.
«Non si rendeva conto di quel che diceva… Povero
diavolo…».
Probabilmente aveva ragione, ma tornai comunque alla carica.
“Ma ti ha fatto un nome, no? Quale?».
I poliziotti lasciarono perdere il cadavere e mi intimarono di seguirli. Ebbi giusto il tempo di udire le
parole di Mily.
“Arkadin”, disse. “Gregory Arkadin».
da Mr. Arkadin, Robin edizioni, p.34
Guy Van Stratten è soltanto un piccolo delinquente impegnato nel trasporto di merce di contrabbando. Durante uno scalo nel porto di Napoli si imbatte in un uomo che pochi istanti prima qualcuno ha ferito con un coltello. Prima di morire Bracco, questo è il suo nome, vuole regalare allo sconosciuto che cerca di soccorrerlo due nomi che potrebbero, dice, fare la sua fortuna: il primo è Gregory Arkadin, mentre l’altro, un nome di donna, risulta incomprensibile. Ma chi è Gregory Arkadin? Di lui si conoscono l’immensa ricchezza, le feste sontuose che organizza e la soggezione che incute il suo grande potere. Il suo volto è tuttavia sconosciuto e anche dell’origine della sua fortuna non si sa nulla. Van Stratten si mette sulle sue tracce cercando di fare breccia nel cuore della figlia Raina, ma a quel punto è lo stesso Arkadin a offrire all’avventuriero, forse soltanto per allontanarlo dalla ragazza, una missione che mai si sarebbe aspettato: svelargli il suo passato, ignoto perfino a lui. Per aiutarlo gli fornisce alcuni indizi da cui partire, ma forse la chiave di volta del mistero è proprio quel nome che le labbra di un moribondo non hanno saputo scandire.
Da questo romanzo – riproposto in una nuova traduzione e con una prefazione di Mauricio Dupuis che racconta la storia tormentata del libro – lo stesso Orson Welles trasse l’indimenticabile film Rapporto confidenziale.
Extra
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Recensione di Claudio Magris per il Corriere della sera | 14 agosto 2012 | link
È stato detto che un racconto giallo perde il suo interesse se si conosce già il finale e dunque non si è trascinati, nella lettura, dalla ricerca del colpevole o dall’ansia di sciogliere il mistero. Giustamente mio padre si era infuriato un giorno in cui, da ragazzo, gli avevo infilato tra le pagine di un giallo che stava leggendo un foglietto col nome dell’assassino. Ma tutto ciò può valere solo per i gialli o noir dozzinali, mero passatempo — fra l’altro non più divertente di altri, anzi spesso più noioso — da gettare nel cestino una volta esaurita la sua funzione.
In un autentico libro giallo ogni particolare ha una sua forza fantastica, che nessuna spiegazione dell’intrigo distrugge e che affascina ogniqualvolta lo si rilegge. Anche I fratelli Karamazov sono in fondo pure un giallo, la cui soluzione non intacca certo l’incredibile potenza di ogni sua pagina. Fra i gialli che rileggo — o almeno risfoglio — più spesso c’è Il signor Arkadin di Orson Welles, che ne trasse pure un celebre film, Rapporto confidenziale. Una storia d’avventure, di mistero, di delitti, un’incalzante ricerca di una verità che si rivelerà distruttiva per tutti, colpevoli e innocenti — se si può parlare di innocenti per qualcuno dei protagonisti.
Un meccanismo perfetto di agguati, un disegno diabolico che trasforma pure l’investigazione in un elemento inconsapevole della trappola. Una parabola del Fato, del tempo della propria esistenza che scompare nel nulla, dell’Io che avvicinandosi alla morte cerca di correre a ritroso, di inseguire e ritrovare il sé stesso di una volta.
Il signor Arkadin, un miliardario criminale, dice di aver perso la memoria a partire da un certo momento, da quando molti anni prima si era trovato su un ponte in un gelido giorno d’inverno senza sapere il suo nome né da dove veniva. Incarica perciò un avventuriero, Van Stratten, di ricostruire il suo passato, di fargli sapere «chi sono, chi ero». Van Stratten è il tipico personaggio dei libri e dei film di Welles; l’uomo spavaldamente alla deriva, avido di vita e malinconico nel suo errare per le strade del mondo e del cuore. In realtà Arkadin ha alle sue spalle una serie di delitti e si serve di Van Stratten per rintracciare i testimoni di quei lontani crimini — ora pericolosi, vista la sua potenza finanziaria — che poi provvede ad eliminare. Il libro è un’affascinante corsa attraverso i paesi e gli ambienti più diversi; una serie di incontri — che possono diventare brevi incontri d’amore — con personaggi sbandati, inseguiti dal destino impersonato da Arkadin e dalla sua ignara scolta, e raggiunti dalla morte. A tutto ciò s’intreccia la passione di Stratten per la figlia di Arkadin, Raina.
Nella sua sete di vita e nella sua malinconia, Van Stratten assomiglia ad Arkadin; tutti e due vivono secondo la massima shakespeariana così cara a Welles, ossia seguendo la propria natura, e dunque la propria verità, poco importa se delittuosa o generosa. Alla fine Van Stratten, scoperta la macchinazione, riuscirà a distruggere Arkadin, colpendolo nel suo unico sentimento umano ossia l’amore per la figlia, ma così facendo distrugge sé stesso ovvero l’amore di Raina per lui. Non c’è innocenza, in questo racconto che appassiona ad ogni lettura. La polvere del male si posa su tutto; la vita è violenta e distruttrice volontà di potenza, la morale può vincere il male ma distruggendo così pure la vita e dunque sé stessa. La ricerca del tempo perduto finisce sotto la falce sempre affilata del Tempo. Non credo che mio padre si sarebbe arrabbiato se gli avessi rivelato in anticipo il finale del Signor Arkadin, perché in questo caso non gli avrei certo rovinato la lettura.
– Claudio Magris
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