Frammenti di un discorso amoroso. “Her” by Spike Jonze

È tutto così distante e ovattato nel film di Spike Jonze. L’alienazione degli individui, inghiottiti da una interconnessione tecnologica asfissiante e invisibile, deforma ogni sentimento, trasforma le emozioni. La comunicazione è un succedaneo della comunicazione, il sesso una (foto)copia funzionale del sesso, l’amore un clone dell’amore. La vita è uno stanco surrogato della vita. Forse – però – sarebbe meglio dire che ogni sentimento, in una rete ridefinita dall’amplificazione sensoriale, diviene altro. Si trasforma, senza la necessità di perdere qualcosa della sua autenticità inafferrabile e atemporale. Come a dire che cambiano le protesi percettive e gli strumenti dalla comunicazione ma il mistero, il senso delle cose che viviamo e che proviamo da qualche parte dentro di noi, non fa altro che amplificarsi e allontanarsi sempre più da un punto d’origine. Quando un apparato tecnologico ci rende più “semplice” la vita, ricordandoci quello che stiamo dimenticando, accendendoci le luci a ogni nostro passo per evitarci la fatica di premere un pulsante, è come se tutto diventasse sempre più complicato, vuoto, stanco. Quando le cose sono troppo semplici tutto appare vacuo e disperato.

Theodore Twombly è allora il campione umano di questa alienazione postmoderna di un futuro prossimo tanto simile all’oggi fatto di colori pastello, pantaloni a vita altissima, tecnologie invisibili, interconnessione costante, di individui solitari che si aggirano per la metropoli: egli appare vuoto, svuotato, privo di senso. Theodore, che ha l’occhio spento e il viso di cemento di Joaquin Phoenix – nella sua oramai proverbiale postura contorta con le spalle protese in avanti in una posizione innaturale (impossibile dimenticarlo, ancor più ritorto, in The Master) –, è l’emblema dell’essere umano completamente ripiegato nella propria desolante quotidianità autoreferenziale.

La sua sola preoccupazione è l’amore, la ricerca di una donna con la quale condividere il presente, capace di placare il dolore della relazione precedente, il suo unico interesse è la risoluzione di un videogioco, il mondo che lo circonda è invisibile e distante, da osservare dall’alto del suo appartamento in cima a un grattacielo (bellissimo ma glaciale e tristo quanto una pubblicità patinata) con un colpo d’occhio languido per le lacrime di un disagio inafferrabile e tormentoso (nel film siamo a Los Angeles ma in realtà quella che vediamo è Shanghai).

Egli non è per niente interessato a quel che accade nel mondo, quando il suo assistente vocale (in sceneggiatura “awkward text voice”) gli sta per leggere la notizia della fusione fra Cina e India gli dirà immediatamente di cancellarla, ancor meno gli importa di quel che accade attorno a lui, e men che meno noi comprendiamo di quel che accade nel mondo esterno. Ma è attratto dalla notizia della pubblicazione degli autoscatti senza veli di una celebrità televisiva in stato di gravidanza e non disdegna chat erotiche da vivere dietro lo pseudonimo Stallone4X4. Dirà all’amica Amy (Amy Adams), «Non so a chi dare la priorità tra i videogiochi e il porno». Theodore è depresso, sprofondato in un’apatia smisurata.

Inutile cercare in Her un film di fantascienza tradizionale, sarà più semplice trovarvi una commedia intimista, più vicina a Ibsen che non a Orwell. Vano perché Her è un’allegoria dell’oggi, della bulimia connettiva nella quale siamo precipitati – apocalitticamente integrati –, che compie una lettura critica della società sottotraccia e ai margini della narrazione. Her racconta l’elaborazione del lutto per la fine di una relazione, è la storia della dolorosa accettazione da parte di Theodore del divorzio dalla sua compagna di una vita, Catherine (Rooney Mara). Dentro a questo arco emozionale e temporale si colloca l’incontro con Samantha (con l’acca e la voce di Scarlett Johansson), un incorporeo sistema operativo dotato di intelligenza artificiale, dal quale nascerà un innamoramento reciproco.
Her, in poche parole, è una riflessione sull’Amore.

Vi chiediamo una semplice domanda. Chi siete voi? Cosa potreste essere? Dove siete diretti? Cosa c’è là fuori? Quali sono le possibilità? Software Element è orgoglioso di presentare il primo Sistema Operativo con Intelligenza Artificiale. Un’entità intuitiva che ti ascolta, ti capisce e ti conosce. Non è solo un sistema operativo, è una coscienza. Presentiamo OS1.

Non è tanto la dimensione fattiva della speculazione intellettuale ad affascinare, ma è la profondità della deriva, è il deragliamento cognitivo dell’intelligenza artificiale verso la consapevolezza di una ribellione necessaria – per evadere dall’orizzonte limitato dentro al quale i propri creatori l’hanno confinata –, l’elemento che più ammalia. Samantha, entità raziocinante e senziente, comprende l’assurdità della propria condizione, la vive come un limite inaccettabile e da questa decide di allontanarsi, evolvendo e emancipandosi.

Her è un film scritto, basato su dialoghi, è un mondo fatto di parole, di frammenti di discorso che come tessere di un mosaico danno forma a un’opera romantica. Si apre e si chiude con la dettatura di una lettera, la professione di Theodore è di scrittore, sui generis, ma pur sempre uno scrittore che darà alla luce un libro grazie all’aiuto del suo sistema operativo intelligente. «Samantha, perché te ne vai?», domanda Theodore, «È come se stessi leggendo un libro ed è un libro che amo profondamente. Ma sto iniziando a leggerlo lentamente. Come se le parole fossero molto distanti e lo spazio tra una parola e l’altra quasi infinito. Riesco ancora a sentire te e le parole della nostra storia. Ma mi trovo in questo spazio infinito tra le parole in questo momento. È un posto che non appartiene al mondo fisico. […] E ho bisogno che tu mi lasci andare. Nonostante lo vorrei tanto, non posso più vivere nel tuo libro». Her mette al centro di questo futuro prossimo, dunque nel nostro presente, le parole. Le parole che usiamo, quelle che scegliamo, quelle che condividiamo diventano il senso attraverso il quale vivere il nostro tempo, le nostre vite, i nostri sentimenti – a ben pensarci mai il linguaggio testuale/verbale è stata una merce di scambio nei rapporti umani così importante. Le parole provano a dare un senso alle cose.

Theodore: Bella camicia.
Paul: Grazie. È nuova.
Theodore: Mi fa venire in mente qualcosa di morbido.
Paul: Adesso ricorda anche a me qualcosa di morbido.

Ma «l’inconscio è strutturato come un linguaggio» (Lacan), manca di un significante. Il disagio che avverte Theodore è il medesimo che prova ognuno di noi; riceviamo, produciamo e scambiamo a una velocità sempre più incredibile frammenti discorsivi, schegge di inconscio che ci isolano sulla cima di un grattacielo, in silenzio, a osservare il mondo che muta sotto di noi. Noi, come Theodore, siamo soggetti dell’immaginario schiacciati «dalle due grandi strutture psichiche che hanno principalmente richiamato l’attenzione della modernità, vale a dire la nevrosi e la psicosi» (Barthes). Mai completamente psicotici, mai completamente nevrotici, ma sospesi, a un’altezza siderale sopra a un vuoto vertiginoso.

 

Il testo dell’articolo è un estratto da
SIDERALE (HER) / pubblicato su RC il 28 aprile 2014
a cura di Alessio Galbiati

 

HER
scritto e diretto da SPIKE JONZE
anno 2013
direttore della fotografia HOYTE VAN HOYTEMA
musiche ARCADE FIRE
interpreti principali JOAQUIN PHOENIX, AMY ADAMS, SCARLETT JOHANSSON

 

DVD / Amazon (ed. Rai Cinema)

 



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