Biancaneve: un altro specchio, un altro castello

Il castello di Biancaneve e del principe, per sempre felici e contenti, disegnato nel cielo, disegno nel disegno, di-segno disneyano puro, costituisce l’approdo e il (lieto) fine di Biancaneve e i sette nani. Follia/utopia in risposta alle stregonerie post-’29, la Crisi indotta come in un sortilegio magico, ieri come oggi. Ottant’anni dopo (prima proiezione il 21 dicembre 1937 al Carthay Circle Theatre di Los Angeles), l’unico rimedio possibile è ancora ri-disegnare il mondo, opponendo e capovolgendo, immaginare altri sensi/segni.

Porre un altro Castello in alto, tra le disprezzate nuvole teofaniche di distrazione. Fuori dalla troppa concentrazione accentratrice. Il sopra disneyano è fatto di cielo, aria, evanescenza, pioggia (fluida, vivificante). Sotto le nuvole, si è solo in disgrazia. C’è la Terra come la si conosce, dove alberga la sventura del Potere, con al centro il castello consueto: bello fuori, (e)gotico invece nei sotterranei.

Disney lo svela attraverso la cupa profondità Hyde di un inconscio dal layout Universal horror (scale ed esperimenti da mad doctor, scheletri, corvi, impiastri chimici tossici): eredità di un espressionismo germanico presente già in una foresta assoluta e assolutista (bayreuthiana, secondo Arbasino), piena d’echi mortali dentro i quali Biancaneve, proprio come in un tranello melodrammatico wagneriano, volteggia spaventata, precipita nel Male. Incarna disorientamenti (pre) noir di chi sa vedere oltre. I nazisti sono tra noi, il peggio è in arrivo.

Impossibile non pensare a quanto di mefitico fosse nell’aria, riconfermato dalle successive tappe disneyane: Pinocchio, burattino manovrabile quanto un Cesare caligariano; Dumbo, diverso condannato; Bambi, cerbiatto perseguitato. E Fantasia quale antidoto.

Alle spalle del trono della regina, spicca un pavone la cui coda forma un cerchio (l’autosufficienza) di piume-spade o piume-pugnali. Quarant’anni dopo, in Suspiria, Dario Argento lo trasferirà nell’antro psichedelico di Elena Marcos, strega evocatrice d’altre streghe d’epoca (la Imelda filippina alle cui chiome attinge la pettinatura della Joan Bennett del film). Un decennio prima, facendo ruotare la coda di un pavone di ferro contemporaneamente diegetico ed extradiegetico, l’Ėjzenštejn di Ottobre aveva tradotto in mobilissime immagini meccaniche la vanità e il narcisismo zar di Kerensij, nuovo leader restauratore del Palazzo (d’Inverno). E probabilmente Disney aveva in mente le pareti di corte degli ingessati genitori del principe, i reali della Snow White che da ragazzo lo aveva incantato (una produzione 1916 Famous Players, cioè Paramount, diretta da J. Searle Dawley, contenente già una scena animata), adornate anch’esse di qualcosa di simile alla coda dell’uccello narcisista. Il Pavone, segno di compassione e perfezione, dalla coda spirale solare come la svastica, aveva cambiato segno trasferendosi nei tetri altari del Potere totalitario e poi nell’immaginario corrente massa. Era adesso un’icona distruggitrice.

Per questo Disney pensa (ad) altro. Rischiara le forme animali e vegetali orrorifiche della notte in animali aiutanti alla Propp. Fa oro dell’orrore, mettendo subito in risalto quest’ultimo per meglio esaltare, poi, lo splendente contrario. All’opposto di Manzoni, che inquina la quiete del celebre attacco naturale de I promessi sposi con l’artificiosità cattiva del «palazzotto di don Rodrigo». Disney, alla solitudine psicotica della Regina, mette di fronte la socialità socialista di Biancaneve, che coopera, fa squadra e amicizia, ignora la differenza tra umano, animale, animato, tra grande e piccolo, tra classi, tra normalità e anormalità (il Cucciolo/Dopey muto, freak tra i freaks). A castello contrappone castello, a specchio, specchio (evitando, in questo secondo caso, il nulla semantico di cui parlava Umberto Eco).

 

 

La Regina invidiosa consulta uno schermo provvisto di maschera vuota, anticipazione di tutti i sistemi di sorveglianza moderni del Potere spettacolare: cinema, televisione, Grande Fratello, computer e smartphone. Biancaneve si specchia nell’acqua del pozzo, e cioè l’acqua magica della psiche, flusso magico di guarigione e desiderio (la canzone I’m Wishing accompagna la scena). Grimilde è sola, non concepisce l’altro se non come servo, rivale o cadavere. Al contrario, la principessa degradata a sguattera appare sempre in compagnia (di colombi e fiori rampicanti: stato di natura), persino quando è a tu per tu con i propri sogni e si specchia. Evocando e avocando a sé il Principe, l’amore e la salvezza/reintegrazione del Sette e dei sette nani. Sette tanto quante le divisioni lunari dell’arcobaleno che attraverserà.

Il bis, due anni dopo, lo concede Dorothy/Garland over the rainbow, facendo amicizia con gli altri freaks de Il mago di Oz, uno dei tanti film nati sulla scia liberatoria del primo lungometraggio di Disney. Mentre il castello della Regina, perlustrato con la profondità di campo del multiplane, Orson Welles lo ricrea nella gelida fortezza Xanadu no trespassing del suo triste Citizen Kane, magnate incarnatore di uno stesso male (Randolph Hearst, re dei media avvelenati).

L’utopia di Biancaneve combacia con l’utopia del cinema. Lavoro collettivo dentro e fuori, tutti insieme contro la Crisi, il Male. Disney celebra il tempo ritrovato della (sua) infanzia, ricreando, artefice, la scossa benefica procuratagli, da spettatore, dalla Biancaneve del 1916. Da lì attinge, estendendolo, più di un luogo: l’animale-guida (un pappagallo), la foresta come spazio della mente (che scivola nel found footage di un leone), la strega con pentolone (non la regina: un suo doppio distinto). Elementi probabilmente presenti nella commedia portata a Broadway quattro anni prima da Winthrop Ames, firmatario della sceneggiatura della versione filmica (con lo pseudonimo evocativo di Jesse G. White: White come Snow White).

La fedeltà infedele disneyana alla fiaba originale, il folktale del 1812 dei fratelli Grimm, consiste in questo metodo diversamente filologico: nel trasformare il passaggio da fonte orale a fonte scritta (poi recitata e filmata) nell’invisibile movimento interno da interpolazioni mnemoniche a elaborazioni graduali di stile, dai Grimm a… Grim Natwick, disegnatore di Felix, Koko e Betty Boop, chiamato a ricreare il femminino di Marguerite Clark/Biancaneve, probabile brivido erotico del Walt adolescente.

Ogni forma di cinema, fino ad allora concepita, genere o linguaggio, sfila in Biancaneve e i sette nani. Si è detto dell’horror Universal, dell’espressionismo tedesco e degli anticipi noir anni ’40. Presenti pure le didascalie del muto (appaiono dopo la morte della principessa e prima del bacio di resurrezione); il montaggio alternato griffithiano (i nani in soccorso di Biancaneve alle prese con la strega: il galoppo dei cervi evoca quello western dei cavalli); l’operetta romantica in stile Jeannette McDonald-Nelson Eddy; lo slapstick clownesco non soltanto dei nani; la commedia post-Hays con le «mura di Gerico» (i letti separati di nani ed eroina) e il conseguente reintegro sottile dello sconveniente malizioso (i baci in bocca ambiti da Cucciolo); il melodramma colto nel momento in cui, direttamente dall’opera, si spalma sulla drammaturgia hollywoodiana (la succitata scena della foresta); l’idea del film come adattamento di un testo (un libro, con l’incipit scritto, apre, qui e altrove, il classico Disney); il lato femme fatale, un po’ Garbo, un po’ Dietrich, molto Joan Crawford, della Regina. A evocare indicibili fuoricampi urbani e metropolitani. Il city gangster movie, i poliziotti, le ballerine: per forza di cosa esclusi. Anche se, si è visto, non mancano danze, violenza e quel male eterno, all’epoca così attuale. La lotta di classe. Ci sono certo gli avvoltoi.

Tra il lontano e il vicino, anche futuro, qui e ora, e ora più che mai, si colloca dunque il regno incantato e incantatore di Walt Disney. La fiaba, è noto, abitua i piccoli al male, al principio di realtà. A volte, persino a una certa irreale realtà. Quella (ir)realtà, terribile e temibile, che il padre e alter-ego di Topolino non osa mai censurare, per quanto se ne dica. Piuttosto l’aggredisce e la contrattacca. Aborrendola. Disintegrandola. •

Leonardo Persia

 

 

SNOW WHITE AND THE SEVEN DWARFS (Biancaneve e i sette nani)
Regia: David Hand, Perce Pearce, William Cottrell, Larry Morey, Wilfred Jackson, Ben Sharpsteen • Soggetto: Fratelli Grimm • Sceneggiatura: Dorothy Ann Blank, Richard Creedon, Merrill De Maris, Otto Englander, Earl Hurd, Dick Richard, Ted Sears, Webb Smith • Produttore: Walt Disney • Musiche: Frank Churchill, Leigh Harline, Paul J. Smith • Scenografie: Samuel Armstrong, Mique Nelson, Phil Dike, Merle Cox, Ray Lockrem, Claude Coats, Maurice Noble • Art director: Ken Anderson, Tom Codrick, Hugh Hennesy, Harold Miles, Kendall O’Connor, Charles Philippi, Hazel Sewell, Terrell Stapp, McLaren Stewart, Gustaf Tenggren • Character design: Albert Hurter, Joe Grant • Animatori: Hamilton Luske, Fred Moore, Bill Tytla, Norman Ferguson, Frank Thomas, Les Clark, Dick Lundy, Fred Spencer, Art Babbitt, Bill Roberts, Eric Larson, Bernard Garbutt, Milt Kahl, Grim Natwick, Robert Stokes, Jack Campbell, James Algar, Marvin Woodward, Al Eugster, Shamus Culhane, Cy Young, Stan Quackenbush, Joshua Meador, Ward Kimball, Ugo D’Orsi, Wolfgang Reitherman, George Rowley, Robert Martsch • Doppiatori originali: Adriana Caselotti (Biancaneve), Lucille La Verne (Regina Grimilde, Strega), Harry Stockwell (Principe), Roy Atwell (Dotto), Pinto Colvig (Pisolo, Brontolo), Billy Gilbert (Eolo), Otis Harlan (Gongolo), Scotty Mattraw (Mammolo), Eddie Collins (Cucciolo), Moroni Olsen (Specchio Magico), Stuart Buchanan (Cacciatore) • Doppiaggio italiano originale: Rosetta Calavetta (Biancaneve – dialoghi), Lina Pagliughi (Biancaneve – canto), Giulio Panicali (Principe – dialoghi), Giovanni Manurita (Principe – canto), Tina Lattanzi (Regina Grimilde), Dina Romano (Strega), Olinto Cristina (Dotto), Amilcare Pettinelli (Brontolo), Gianni Mazzanti (Pisolo), Gero Zambuto (Eolo), Cesare Polacco (Gongolo), Lauro Gazzolo (Mammolo), Aldo Silvani (Specchio Magico), Mario Besesti (Cacciatore) • Doppiaggio italiano 1972: Melina Martello (Biancaneve – dialoghi), Gianna Spagnuolo (Biancaneve – canto), Romano Malaspina (Principe – dialoghi), Bruno Filippini (Principe – canto), Benita Martini (Regina Grimilde), Wanda Tettoni (Strega), Roberto Bertea (Dotto), Manlio Busoni (Brontolo), Giancarlo Maestri (Pisolo), Vittorio Di Prima (Eolo, Cacciatore), Carlo Baccarini (Gongolo), Silvio Spaccesi (Mammolo), Mario Feliciani (Specchio Magico) • Produzione: Walt Disney Productions • Rapporto: 1.37:1 • Paese: USA • Anno: 1937 • Durata: 83′

HOMEVIDEO: DVD / Blu-ray

 

 

Walt Disney by Leonardo Persia

The Jungle Book (Il libro della giungla) / 1967
Cinderella (Cenerentola) / 1950
Bambi / 1942
Fantasia / 1940

 

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