BOA SORTE, MEU AMOR
regia di Daniel Aragão (Brasile/2012)
a cura di Alessio Galbiati
da Rapporto Confidenziale 36
Recife, oggi. Dirceu (Vinicius Zinn), trentenne figlio della borghesia bianca del nord del Brasile, lavora nell’azienda di demolizione del padre (Rogerio Trindade), uomo rancoroso e classista che non manca di ricordare il passato aristocratico della propria famiglia. Dirceu è un ragazzo viziato, possiede tutto e non si cura di niente, la sua unica preoccupazione è fare festa con gli amici, accoppiarsi col maggior numero di donne, demolire qualche vecchio palazzaccio per fare posto a nuove e più moderne volumetrie urbane. Un giorno incontra Maria (Christiana Ubach), una ragazza di una classe sociale inferiore alla sua che, per pagarsi gli studi di pianoforte, lavora come ragazza immagine in alcuni locali notturni. I due si conoscono, scoprendo che le rispettive famiglie provengono entrambe dalle zone rurali della regione del Pernambuco, e presto si amano. Possiedono però due visioni del mondo distanti, Maria pensa che nulla sia come dovrebbe essere, Dirceu vorrebbe solo una vita tranquilla negli agi a cui da sempre è stato abituato. Un giorno Maria scompare. Dirceu disperato proverà a ritrovarla ma, per farlo, dovrà tornare in quelle terre da cui la sua famiglia se n’è andata, dovrà tornare alle proprie radici, ripensando se stesso e il proprio mondo.
Una delle primissime inquadrature di Boa sorte, meu amor, lungometraggio d’esordio di Daniel Aragão, è un piano sequenza davvero rimarchevole, intenso e potente. Maria compare al rallentatore nell’inquadratura come da un raggio di luce, fotografata in un bianco e nero abbacinante (ottimo il contributo dato all’opera del direttore della fotografia Pedro Sotero) all’interno di un formato 2.35 Scope (vale a dire estremamente sottile), sulle struggenti note di I Don’t Need You Around interpretata da Jackie Wilson. Vestita come una pin-up anni ‘50 lavora come ragazza immagine per un locale notturno, alle sue spalle rilucono riverberi stroboscopici che impattano con l’ottica della macchina da presa facendo esplodere davanti ad essa la bellezza di una donna, a quel punto del film, ancora misteriosa all’interno della storia. A guardarla, oltre a noi spettatori, c’è Dirceu, che come noi non può che cadere ipnotizzato. Quando Maria incrocia il suo sguardo con quello dell’obiettivo, dunque con gli occhi di Dirceu che la osserva, Daniel Aragão è riuscito ad “agganciarci” al suo film, trascinandoci nel pathos sensuale ed ipercinetico del suo esordio.
Il film nasce da un racconto che il regista ha sentito per la prima volta al funerale di sua nonna. Una storia che riguardava la sua bisnonna, una schiava sessuale alla mercé del proprietario terriero di un possedimento situato nella regione del Pernambuco, nel nord del Brasile. Una storia di schiavitù comune a tutto il Paese (la fine della schiavitù avvenne in Brasile nel 1888 con la legge aurea voluta dalla principessa Isabella), che nel film trova spazio e forma nel monologo (ottimamente scritto da Aragão con il fondamentale contributo di Gregorio Graziosi e Luiz Otavio Pereira) che apre la pellicola. Un racconto in cui il padre di Dirceu narra la “parabola” di una schiava totalmente sottomessa al proprio padrone per spiegare al figlio che nella vita quel che conta sono i rapporti di forza, che il potere e il denaro sono l’unico orizzonte dal quale osservare l’esistenza di un mondo in cui non esiste alcuna eguaglianza fra gli individui.
Aragão porta su grande schermo la cattiva coscienza del Brasile contemporaneo, una società che pur vivendo un’impetuosa crescita economica continua a rifuggere dal guardarsi allo specchio per ciò che è realmente: una società classista in preda ad un isterico rinnovamento (simboleggiato dall’attività di demolizione della compagnia del padre), da una parte immemore del proprio passato (Dirceu) e dall’altra incapace di afferrare il potenziale rinnovamento in atto (Maria). Un Paese alienato, del quale il regista stesso si sente vittima, che necessita di essere raccontato per le sue contraddizioni, cercando una strada che percorra prospettive inedite, quella dello sguardo di una generazione nata negli anni ’80.
Nel film città e campagna sono distanti anni luce, due mondi letteralmente incapaci di comunicare fra loro. Quando Dirceu si getterà alla disperata ricerca di Maria inoltrandosi nell’entroterra rurale, troverà sulla propria strada unicamente persone con le quali, letteralmente, non sarà in grado di comunicare. L’obiettivo di Aragão è descrivere la distanza che separa questi mondi e di farlo attraverso una storia che, partendo da spunti autobiografici (il personaggio di Dirceu è infatti costruito come un vero e proprio alter ego del regista), riesce a cogliere un aspetto comune ad una intera generazione (brasiliana ma non solo): l’assenza di legami con la storia delle proprie famiglie, con la memoria di un passato basato sulla sopraffazione e la negazione di libertà che è ancora presente nella società (brasiliana ma non solo).
Il taglio dell’opera è tutt’altro che realista. Attraverso una costruzione esasperata della luce e con un procedere ellittico, in termini di sceneggiatura, il film si struttura come un’opera surreale, sempre sopra le righe, decisamente ambiziosa. Una rarità nel panorama cinematografico latino-americano attuale, assai spesso fatto da opere minimaliste, attente a raccontare la realtà con un occhio documentaristico. Aragão ha diretto un film che si rifà alla tradizione formalista del cinema brasiliano anni ’70, contaminato da influenze provenienti dal cinema internazionale. David Lynch ad esempio, il film si apre con un naso che affiora dal terreno, oppure Wong Kar-Wai e Lars Von Trier.
Boa sorte, meu amor è un film costruito come una canzone d’amore, straziante e passionale, che si struttura fra due brani dotati di una straordinaria potenza emotiva: I Don’t Need You Around di Jackie Wilson, a rappresentare l’amore struggente di Dirceu per Maria, e Going Back to My Roots di Lamont Dozier, simbolo del viaggio di Dirceu verso/dentro le proprie origini. Ma è soprattutto pervaso della straordinaria colonna sonora originale realizzata dal musicista elettronico finlandese Jimi Tenor (già autore delle superbe musiche per Finnisterrae di Sergio Caballero). Un tappeto sonoro eccessivo e strabordante capace di sovrastare in più d’una sequenza ogni cosa, dotato di una fresca vitalità che aggiunge una lietissima nota di follia ad un film già di per sé generoso, perché non privo di sbavature, ma proprio per questo coinvolgente e vigoroso, come ogni ottima opera prima dovrebbe essere. ■
Alessio Galbiati
NUOVO CINEMA BRASILIANO. Intervista ai realizzatori di Boa sorte, meu amor. Il regista Daniel Aragão, lo sceneggiatore Gregorio Graziosi e agli attori Vinicius Zinn e Christiana Ubach
a cura di Alessio Galbiati e Roberto Rippa
da Rapporto Confidenziale 36TROPICALISMO FINLANDESE. Intervista a Jimi Tenor
a cura di Alessio Galbiati e Roberto Rippa
da Rapporto Confidenziale 36
Boa sorte, meu amor (Good Luck, Sweetheart)
Regia: Daniel Aragão ■ Sceneggiatura: Daniel Aragão, Gregorio Graziosi, Luiz Otavio Pereira ■ Musiche: Jimi Tenor ■ Fotografia: Pedro Sotero ■ Montaggio: Daniel Aragão, Gregorio Graziosi ■ Scenografie: Juliano Dornelles ■ Costumi: Andrea Monteiro ■ Trucco: Alex de Farias ■ Suono: Guga S. Rocha, Phelipe Cabeça ■ Sound design: Guga S. Rocha ■ Mix: Pablo Lopes ■ Produzione: Pedro Severien ■ Produzione esecutiva: Manoel Torres, Nara Aragão, Isabela Cribari, Pedro Severien ■ Interpreti: Vinicius Zinn (Dirceu), Christiana Ubach (Maria), Rogerio Trindade (padre di Dirceu), Carlo Mossy (padre di Maria), Jack Mugler (Johnny), Maeve Jinkings (Juliana), Jr Black (Rafael), Marku Ribas (predicatore), Julio Rocha (dottore), Cacau Maciel (pin-up), Gerlane Silva (nonna), Sandra Possani (madre di Maria), Ana Lucia Altino (insegnante di pianoforte), Zezita Matos (domestica), Bianca Müller (amante di Dirceu) ■ Produzione: Orquestra Cinema Estúdios, con il supporto della Direzione dello sviluppo e della cooperazione DSC ■ Coproduzione: REC Productores Associados, Set Produções Audiovisuais, Cicatriz Filmes ■ Rapporto: 2.35:1 ■ Formato ripresa: 35mm ■ Colore: bianco e nero ■ Lingua: portoghese ■ Paese: Brasile ■ Anno: 2012 ■ Durata: 95′
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Daniel Aragão è nato a Recife (Pernambuco, Brasile) nel 1981. Ha lavorato come assistente alla regia nel film Cinema, aspirina e urubus (Cinema, aspirins and vultures) di Marcelo Gomes, vincitore del Prix de Education Nationale a Cannes 2005. I suoi cortometraggi A contra-gotas (Drop-counting, 2006), Uma vide e outra (One Life And Another, 2007), Solidão Pública (Public Solitude, 2008), Não me deixe em casa (Don’t Drop Me Home, 2009) hanno vinto premi e sono stati presentati in vari festival in giro per il mondo, fra cui: Amburgo, Locarno, Clermont-Ferrand e IDFA. Nel febbraio 2007 ha partecipato al Talent Campus della Berlinale. Boa sorte, meu amor (Good Luck, Sweetheart) è il suo lungometraggio d’esordio.
Filmografia
2006 | A conta-gotas (Drop-counting) | corto, fiction, DV, 20’ • 2007 | Uma vide e outra (One Life And Another) | corto, fiction, HDV/35mm, 18’ • 2008 | Solidão Pública (Public Solitude) | corto, doc, HD, 18’ • 2009 | Não me deixe em casa (Don’t Drop Me Home) | corto, fiction, 35mm, 17’ • 2012 | Boa sorte, meu amor (Good Luck, Sweetheart) | lungo, fiction, 35, 95’
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Gregorio Graziosi (São Paulo, Brasile, 1983), dirige diversi cortometraggi, tra cui Saba (2007), presentato a Cannes, Phiro (2008), Saltos (2008) e Mira (2009), entrambi selezionati nelle passate edizioni del Festival del film Locarno: Saltos nella sezione Play Forward e Mira nei Pardi di domani – Concorso internazionale. Dopo avere presentato il suo cortometraggio Monumento al 65. Festival internazionale del Film di Locarno, è alle prese con il suo primo lungometraggio.
Rapporto Confidenziale – numero36
ottobre/novembre 2012
ISSN: 2235-1329
Sommario