Quirino, furioso Principe. Con appendice sul concetto di “pietas”

Oggi, l’incubo è un Occidente condannato a morte e già da tempo maleodorante di un’americanizzazione che è prodromo di un’islamizzante putrefazione.” Scrive in tono smodato il principe dei critici musicali, Quirino Principe, sul Domenicale del Sole 24 Ore, 27.8.17. Tempo fa mi augurò che, scrivendo di musica, parlassi della “musica forte”. “Forte”, ossia “colta”. Cito: “Questa solitudine di artisti colti e civilissimi, che lanciano la propria musica in una cantina buia popolata da ciechi e sordomuti, grida vendetta contro l’oscena miliardaria insipienza allo stato brado ostentata da buffoni ritinti e sgambettanti caricature che da altri cretini ricevono acclamazioni o il Nobel.” Nella furia sdegnosa in odore di malvissuta senescenza, il nobile Principe ha perso di vista la sintassi: con “lanciano la musica in cantina” voleva forse dire “lasciano”? Da “buffoni ritinti” in poi, siamo alle libere associazioni. Il tutto in difesa di quei 21 compositori che la musicologa Sara Zurletti ha adunati in un recente libro. Che cosa vorrebbe il Gran Decano? Che la musica contemporanea – oggi detta “di ricerca”, come il cinema “di ricerca” o “sperimentale” che costituisce sussiegosa categoria a sé stante nei festival – venga incensata col Nobel? Prima si è contro la società “alienata e consumistica” (quella dei “ritinti”: ma il Sommo si riferiva a Dylan o a Trump?) e poi ci si affligge perché il “popolo” ci ignora. Ma a dire il vero, i nomi citati dal Principe son assai bene affermati: Alessandro Solbiati, Salvatore Sciarrino, Silvia Colasanti, etc. Docenti, pluripremiati, nei ministeri. Per il fatto che i più ignorino una musica complessa che richiede – nei casi migliori, e non sempre le composizioni dei citati rientrano in questi – lungo esercizio, il Grande Critico scrive: “[…] la paurosa solitudine che circonda oggi gli autori di musica forte in questo infelice Occidente, ‘morto che cammina’ come direbbe quella cosa sempre un po’ mafiosa che è la Storia“. Eccellenza, pigliamo una doccia fredda, Le va? Addirittura l’Occidente affonda perché – fra l’altro – non s’ascolta abbastanza la musica di Solbiati, Sciarrino, Colasanti & Company? Lasciamo ai posteri – visto che Lei definisce questi autori “chiaroveggenti” (sic) – l’ardua sentenza. O, meglio, con un verso di Virgilio (Egloga IX, v.50): “Carpent tua poma nepotes”, “Coglieranno le tue frutta i nipoti”. Sempre che il caldo torrido del “mutato clima” non secchi anzitempo queste “frutte”.

 

Appendice

Ho citato appositamente Virgilio, nelle ultime righe, anche in riferimento a una piccolissima, quasi irrilevante micro-polemica, della quale mi è giunta voce, sorta poiché una lettrice del mio precedente articolo, Il morettismo – lettrice della quale non riferirò il nome, ma della quale… nomen omen – accusava lo scrivente di aver frainteso il concetto di “pietas virgiliana” e poteva pertanto aggiungere – da ottima afflitta da “morettismo” –, che “chi parla male pensa male”. (Ma è quasi normale che chi critica si becchi le peggiori critiche, altrimenti non è divertente.) In sintesi, parlando di documentari sui migranti oggi alla moda, dicevo che la macchina da presa “tremolante” susciti il pathos del viaggio dei poveretti, “in condizioni degne da suscitare la pietas virgiliana”. Pietas come senso del dovere, di rispetto per gli dei. Pietas come amore, affetto, devozione. Per famiglia, patria, figli e amici. Personale senso di clemenza e dovere, quasi pre-kantiano. Che la macchina da presa, in quei documentari, non riesca a suscitarla, fa assumere alla “pietas” un senso ironico. C’è un libro interessante su Virgilio – anche se non si tratta del suo capolavoro – ed è La morte di Virgilio di Hermann Broch, immenso autore de I Sonnambuli (da leggere e rileggere). Forse ha ragione il Principe Quirino: “senso di gelo e paurosa solitudine” (scrive) sono oggi davvero al culmen, un culmen che necessiterebbe di pietas. •

Dario Agazzi



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