Haiku, sogni, memoria, anima.
Intervista a Simone Massi
a cura di Alessio Galbiati
«Ho sempre fatto una fatica del diavolo, ho sempre dovuto saper aspettare e armarmi di pazienza, più o meno santa. In animazione in particolare: dopo tanti anni – e a dispetto dei premi – non sono ancora riuscito a far diventare questa mia passione un mestiere. Prima ancora che un disegnatore sono un uomo onesto e questo conta più che l’avere talento, conta più di tutto quando mi guardo allo specchio o vado a dormire. Mi piace prendere le mie colpe e me le prendo: ho un carattere schivo, non vado d’accordo con le persone, detesto spostarmi, mi ostino a fare dei film che richiedono anni e non hanno mercato, più di questo: non so vendere quello che faccio. Non mi propongo, non insisto, non telefono, non sorrido, non stringo mani (men che meno politiche). Una negazione in serie, le mie colpe. Se non dovessero bastare a spiegare perché non mi è mai stata data la possibilità di lavorare nel mio Paese, ebbene in quel caso occorrerebbe rivolgersi altrove. Con le mani mai strette finiscono le mie colpe cominciano quelle degli altri»
– Simone Massi
II giorno 4 maggio 2012 Simone Massi salirà sul palco dell’Auditorium Conciliazione di Roma per ritirare il David di Donatello per il miglior cortometraggio dell’anno: Dell’ammazzare il maiale. Sarà un momento storico per l’animazione italiana, non era mai successo che un film disegnato si aggiudicasse il premio più prestigioso del cinema italiano. Simone Massi, marchigiano classe ’70, è tutt’altro che un outsider, egli rappresenta una delle vette della cinematografia italiana dell’ultimo decennio: attivo da quasi venti anni, ha realizzato 15 film, ottenuto i più prestigiosi riconoscimenti internazionali e partecipato ad oltre 200 festival in circa 60 paesi. Mai un film d’animazione era arrivato a tanto, e se si pensa che alle spalle di Massi non c’è nulla tranne il suo tenace ed ostinato lavoro, allora non si può altro che convenire sul fatto che, davvero, questo riconoscimento è storico, e dannatamente meritato. L’animazione in Italia è priva di industria, vive il proprio annozero da oramai qualche decennio, e muoversi in questo scenario desertico è quanto di più complesso si possa immaginare, soprattutto se il proprio linguaggio, la propria arte, è resistente ad ogni compromesso, intransigente nella sua pervicace ricerca.
Il cinema di Simone Massi è arte, e la sua vita lo strumento per compierla.
Alessio Galbiati: «Io so chi sono. Io so chi sono. Sono mio nonno e mio padre, ogni faccia che ho visto, pensato e baciato. Io so chi sono. Sono la casa dove sono nato, i posti che ho letto, sognato, le strade i tetti e la terra, chiusi dentro la mia valigia, dentro le nuvole della mia pipa, nel mio bicchiere di vino. Io so chi sono». Con queste parole si apriva Io so chi sono, primo elemento della tetralogia che nell’arco di 7 anni hai realizzato come riflessione sulla tua terra (le Marche) e sul mondo contadino. Un precipitarsi, in quattro opere brevi d’animazione, di immagini-memoria, un amarcord disegnato che si conclude, in Dell’ammazzare il maiale, su di un variopinto fagiano che spicca il volo. Quattro cortometraggi: Io so chi sono (2004), La memoria dei cani (2006), Nuvole, mani (2009) e Dell’ammazzare il maiale (2011) che raccontano un’unica Storia, quella di una terra, di un luogo, di un’anima profonda, contadina e misteriosa, capace di cristallizzarsi nelle tavole da te realizzate e contenuta nell’habitat sonoro su di esse modellato. Qual è il significato profondo di questo gruppo di quattro opere?
Simone Massi: Il significato profondo credo che verrà fuori un po’ alla volta, anche perché la stessa tetralogia su terra, radici e mondo contadino è venuta fuori un poco alla volta e senza che me ne rendessi conto. Non è stata una cosa programmata, in questi anni ho realizzato le storie che avevo in mente e che mi premeva raccontare ma solo con Dell’ammazzare il maiale ho capito che c’era un filo rosso che le teneva insieme. E questo filo è la storia mia, della mia famiglia, della mia terra, è rosso per la passione, per le umiliazioni, per il sangue sputato nei campi e nelle officine.
Una volta trovato, con Io so chi sono, non potevo far finta di non vederlo: ho dovuto scorrerlo fra le mani e seguirlo per vedere dove portava. Questa che ti do è una risposta provvisoria, per il significato profondo che ti preme sapere c’è bisogno di tempo.
AG: Con quale tecnica hai realizzato Dell’ammazzare il maiale e come sei giunto a questa modalità di realizzazione così potente dal punto di vista visivo, estremamente faticosa, eroica (se mi concedi), dal punto di vista creativo? Quanto tempo hai impiegato?
SM: Dell’ammazzare il maiale è stato realizzato in un anno e mezzo e con la stessa tecnica dei due lavori che lo precedono: pastelli a olio su carta graffiati con strumenti da incisione. A questa tecnica ci sono arrivato per caso e per volontà, provando e cercando finché 8 anni fa ho finalmente trovato. Dal 2004 disegno in questa maniera ed è diventato il mio marchio di fabbrica. E’ come dici tu: un lavoro fisico, una tecnica che mi costa molta fatica, però il segno è potente e giusto per le storie che racconto: è il mio segno, e allora va bene, cerco di portarlo avanti.
AG: Quest’intervista è fatta a poche ore dall’annuncio della tua vittoria ai David di Donatello 2012 per il miglior cortometraggio con Dell’ammazzare il maiale. Che sensazioni provoca in te questo importantissimo riconoscimento? Quali reazioni alla luce di una carriera artigiana ed autarchica, isolata ma conosciuta in tutto il mondo, alla luce soprattutto dell’autodefinizione di animatore resistente?
SM: Il David di Donatello assomiglia più a un sogno che a un premio: al punto che fino al 2010 non ho mai osato partecipare. Quando mi è arrivata la notizia non capivo, anche perché quel giorno dovevano essere annunciate le nomination e non i vincitori, ma poi ho capito che era vero e mi sono passate per la testa tante immagini, tanti pensieri. C’è stata anche molta rabbia, per tutte le amarezze che hanno attraversato questi miei quasi vent’anni di carriera e che mi sono passate davanti agli occhi tutte insieme. All’annuncio del David ho provato spaesamento, gioia, rabbia, e infine una grande stanchezza. Mi sono dovuto fermare un giorno e mezzo, poi ho ripreso a lavorare a testa bassa. Quello che faccio è un mestiere molto difficile, somiglia a una maratona: sono partito tanti anni fa ed ho cominciato a scalare posizioni fino ad arrivare davanti ma a spingermi avanti più del talento sono state la determinazione e la rabbia. Io più degli altri ho la determinazione e la rabbia e nel momento in cui mi fermo sono perduto. Per uno come me che non ha alle spalle padroni e padrini l’unica maniera per andare avanti è quella di non ascoltare nessuno e continuare a correre.
AG: L’ambiente sonoro ha nei tuoi lavori un’importanza fondamentale, mi da l’impressione di funzionare come un’eco di ciò che si muove fuori campo, fuori dalle immagini da te disegnate. Nei tuoi ultimi tre lavori hai collaborato a quest’aspetto delle tue opere con Stefano Sasso, quali sono state le linee di sviluppo sonoro attraverso le quali siete giunti al risultato finale?
SM: Quello che chiedo a Stefano Sasso è esattamente questo, disegnare con i suoni quello che nello schermo non c’è, creare delle suggestioni e talvolta un effetto straniante. Il metodo è sempre lo stesso: do a Stefano una lista con i suoni che ho in testa e lui inizia a cercarli. Mentre io porto avanti l’animazione lui parallelamente lavora alle tracce, mi spedisce il materiale e io gli dico cosa va e cosa non va e si procede così nei mesi, in un lavoro che via-via si sgrezza e si fa definitivo. Lo straordinario di Sasso è che riesce sempre a dare una forma alla mia idea di suono, a creare una colonna sonora sempre superiore a quello che avevo immaginato.
Stefano Sasso è uno dei miei pochissimi collaboratori, un professionista esemplare che mi ha permesso di attuare quella rivoluzione sonora che avevo in mente nel 2004, quando ho cominciato a lavorare a La memoria dei cani. Da allora abbiamo fatto parecchia strada insieme e ormai ci intendiamo al volo: posso dire che siamo una coppia molto solida, granitica.
AG: Il procedere della narrazione è nei tuoi lavori assai simile ad un flusso di coscienza, una ricombinazione incassante, senza stacchi all’interno di un unico piano sequenza, di elementi che mutuano. Nella tetralogia conclusa con Dell’ammazzare il maiale c’è sempre un bambino che osserva il mondo, ci sono sempre delle porte, anzi ogni cosa è una porta, uno spazio limite fra la propria casa ed il mondo esterno. Si procede invariabilmente dal noto all’ignoto. Un funzionamento narrativo prossimo al sogno, un’onirica esplorazione di un inconscio, il tuo?
SM: Può essere che si tratti di un’esplorazione del mio inconscio, non ci ho mai pensato ma è un’idea che mi piace molto. Ad ogni modo è giusto: quello che provo a fare in animazione è avvicinarmi a delle “porte” che mi permettono di andare avanti e di girare in tondo, di costruire i miei piccoli haiku. L’animazione per me ha un senso solo se esplora strade e forme diverse rispetto al cinema di finzione e documentaristico, e io cerco semplicemente di mettere in animazione quello che mi piace e mi preme: gli haiku, i sogni, la memoria, l’anima.
AG: Stai già lavorando a nuovi cortometraggi d’animazione, o più in generale quali saranno i prossimi passi dalla tua carriera artistica?
SM: Ho un progetto per un nuovo cortometraggio, un’idea che da un anno vagabonda e prende porte in faccia dai produttori. Per me niente di nuovo, è stata la regola da quando ho cominciato a fare animazione. Ora, con il David, salteranno fuori i primi trabocchetti e dovrò tenere gli occhi bene aperti. Voglio andare avanti, ma alla maniera mia, libero, senza condizionamenti e senza farmi fregare. La memoria è buona, la fermezza non mi ha mai fatto difetto.
Aprile 2012
Simone Massi nasce a Pergola (Pesaro-Urbino) nel maggio 1970, piccola località nelle Marche in cui ancora vive. Ex-operaio, di origine contadina, ha studiato Cinema di Animazione alla Scuola d’Arte di Urbino. Animatore indipendente, dal 1995 anni sta cercando – in maniera pulita – di fare diventare la sua passione per il disegno un mestiere. Nonostante le difficoltà ha ideato e realizzato (da solo e interamente a mano) quindici film di animazione che sono stati mostrati in 60 Paesi dei 5 Continenti ed hanno raccolto oltre 200 premi.
simonemassi.it
Filmografia
1995 • Immemoria | 1′
1995 • In aprile | 2′
1995 • Millennio | 2′
1996 • Racconti | 2′
1996 • Niente | 2’30”
1997 • Keep on! Keepin’ on! | 3′
1999 • Adombra | 11′
96-97-01 • Il giorno che vidi i sorci verdi | 1′-3′-3’30”
2001 • Pittore, aereo | 4′
2001 • Tengo la posizione | 4′
2003 • Piccola mare | 4′
2004 • Io so chi sono | 3′
2006 • La memoria dei cani | 8′
2009 • Nuvole, mani | 8′
2011 • Dell’ammazzare il maiale | 6′
Bibliografia
• Poesia Bianca – Il cinema di Simone Massi (2010, Roberto Della Torre, a cura di, Fondazione Cineteca Italiana – dvd+libro)
• Una casa, un rifugio, un diario (2010, Eleonora Bartolacci Barberini, ANPI)
• La casa sull’altura (2011, Nino De Vita, Orecchio Acerbo)
• Torino (2011, Edmondo De Amicis, ECRA)
• Roma (2011, Edmondo De Amicis, ECRA)
• Firenze (2012, Edmondo De Amicis, ECRA)
Dell’ammazzare il maiale
a cura di Alessio Galbiati
Simone Massi. Bio/filmografia
a cura di Camilla Cacciari
Haiku, sogni, memoria, anima. Intervista a Simone Massi
a cura di Alessio Galbiati
Simone Massi | 4 cortometraggi
La memoria dei cani + Io so chi sono + Piccola mare + Tengo la posizione