Joel Potrykus & Mike Saunders (intervista 2014)

Buzzard_prodJoshua Burge, Joel Potrykus, Mike Saunders

Nulla di peggio che la malafede nel fare cinema
Intervista a Joel Potrykus e Mike Saunders su Buzzard (e molto, molto di più)


 

Roberto Rippa: Innanzitutto – questa non è una domanda – mi è piaciuto molto come hai interpretato il ruolo di Derek. Il personaggio è molto divertente, piuttosto orrido ma nel contempo curiosamente amabile.

Joel Potrykus: Conosco persone come lui. Abbiamo provato il film per quasi otto mesi – un lusso per qualsiasi produzione – e ancora non avevamo scelto nessuno per quel ruolo, così ero io a leggere la parte durante le prove. Dopo un paio di mesi, Mike mi dice qualcosa come: «Sei tu Derek! Devi interpretarlo tu».

 

RR: Quindi, Mike, è stata una tua idea quella di Joel nel ruolo di Derek. Cosa ti ha fatto pensare che fosse la scelta giusta?

Mike Saunders: Si, l’idea è stata mia. Conoscendo il senso dell’umorismo di Joel, sapevo che avrebbe potuto interpretare quel ruolo. Avrebbe tentato di far ridere Joshua, di farlo uscire dal personaggio e farlo scoppiare in una risata, cosa che però non è mai successa perché Joshua è follemente professionale. Questo personaggio si ispira all’omonimo protagonista di “Tower” (Kazik Radwanski, 2011). Avevamo infatti pensato a quell’attore per la parte, ma ha declinato il nostro invito in quanto non a suo agio con il ruolo. Nella mia testa non avrebbe potuto esserci nessun attore al mondo che avrebbe potuto interpretare il personaggio se non Joel.
Sapevo che era nelle sue corde e lo sapeva anche Joshua. So che Joshua avrebbe potuto rapportarsi con un altro attore in quel ruolo ma è difficile immaginare una relazione più naturale di quella tra loro due. Inoltre, molti dei giochi cui i due personaggi si dedicano nello scantinato sono gli stessi che usavamo quando eravamo più giovani. Uno si chiamava “The Loser Olympics” e talvolta ci giochiamo ancora. Qualche weekend fa, Joel e il nostro amico Mike Hart giocavano lanciandosi un frisbee ad altezza testa indossando elmetti gonfiabili.
Poi volevo che Joel si ponesse davanti alla camera per il suo bene: è un bravo attore e vorrei vederlo in altri ruoli!

JP: Io e Joshua ci conosciamo bene e ci sentiamo a nostro agio nel cazzeggiare.

 

RR: Quindi l’attore di Tower non ha funzionato…

JP: Ma in pochissimo tempo abbiamo tutti compreso che Joshua ed io abbiamo un’ottima alchimia. Avendo scritto la sceneggiatura, conoscevo Derek meglio di chiunque avremmo potuto sottoporre a un provino. Quindi è stata una scelta naturale. È il mio debutto sul grande schermo (ride).

 

RR: Siete una coppia fantastica sullo schermo.

JP: Si, avverti l’alchimia e questa era la cosa più importante. Il pubblico percepisce che queste due persone si conoscono, che non sono due attori ma due veri colleghi di lavoro. .

 

Buzzard_prod04Joel Potrykus

 


RR: Nello spazio di pochissimi film, hai disegnato una galleria di personaggi che sono in fuga da qualcosa, che cercano di cambiare qualcosa nella loro vita o nel mondo intorno a loro. Qual è stata l’ispirazione per Marty?

JP: Non ne ho idea! Sinceramente, tento di basarmi sulle mie esperienze, sulle mie sensazioni, amplificandole. Marty è un impiegato temporaneo in una società che si occupa di mutui e io ho fatto lo stesso lavoro! Ero anch’io un impiegato temporaneo presso un’agenzia che si occupa di mutui, con l’incarico di ordinare il materiale per l’ufficio. Non avevo alcuna responsabilità e c’erano troppi superiori, che non potevano seguire tutto quello che accadeva in ufficio. A volte ero talmente annoiato che sembrava divertente fare cose come: «E se mi prendessi questa bucatrice?». Nessuno se ne sarebbe accorto. Dopo poco, la situazione si è evoluta in: «E se prendessi tutte queste forniture per ufficio che ho ordinato e le restituissi senza che nessuno se ne accorga?». Si è trasformato in un gioco. Era un lavoro stupido, un lavoro inutile, e quindi la situazione è andata presto fuori controllo: ho finito con il fare più questo che il mio lavoro. Si è trasformato in un gioco, era un lavoro stupido, così inutile. Il direttore della fotografia ed io abbiamo lavorato per questa agenzia di ipoteche insieme. Andavamo in pausa per tre ore… semplicemente ridicolo.
Prendo queste esperienze – quella di un ragazzo sulla trentina cui non piace avere un lavoro e che è più pigro che professionale – e metto nella sceneggiatura la sensazione che ne scaturisce, dopo averla ingigantita. Cerco di fare critica sul mondo che mi circonda senza però imporla con la forza. Cerco di trasformare le esperienze in qualcosa che intrattenga e che non sia pretenzioso. Come un film d’arte, ma diretto e “hardcore”.

 

RR: L’ultima volta che ci siamo visti, qui a Locarno, stavi già pensando a Buzzard.

JP: Sì. Abbiamo preso il volo per tornare e poi abbiamo guidato da New York al Michigan per 12 ore. Durante il viaggio – soprattutto dopo avere visto Tower – io, Mike, Joshua e Ashley abbiamo iniziato a parlare delle idee che avevamo e che sembravano divertenti. Perché avevo l’idea di Marty impiegato presso questa società di ipoteche e volevo inserire il personaggio di Derek. In quella occasione, tutto ha preso forma.

MS: Volevamo che il film parlasse di paura e paranoia. Inizialmente, l’idea era questa. Non dimenticherò mai che in quel periodo lavoravo in un bar e un giorno Joshua entra tutto eccitato e dice: «Nella prima scena io entro e faccio così…». La scena era politicamente più forte dal punto di vista critico e più lunga: si trattava di quella in cui Marty entra in banca per tentare la sua truffa e Joshua ha sostanzialmente recitato tutta la scena per me al bar. Era così entusiasta. Anch’io ho lavorato in un’agenzia specializzata in ipoteche. Ho iniziato come impiegato a termine e poi non mi hanno assunto (ride).

 

Buzzard_prod12Joel Potrykus

 

RR: Ho visto Marty come una sorta di eroe romantico. Non accende il suo computer al lavoro, sembra che lì non gli interessi nulla e poi, quando avvia la truffa con gli assegni, non si rende nemmeno conto di come sia facile scoprirlo. Sembra un uomo fuori dal suo tempo.

JP: È un po’ ingenuo circa il funzionamento del sistema. Il suo problema è che combatte il sistema e gli uomini delle multinazionali ma non capisce come funzionino. Non capisce nemmeno contro cosa stia combattendo. Sente che qualcuno gli deve qualcosa, ma non sa chi e cosa.
Il fatto che non capisca che gli assegni sono tracciabili è ciò che lo definisce come ingenuo. Lui e Derek sono trentenni ma la loro mentalità è quella di un quindicenne. L’idea di poter incassare un assegno senta che nessuno lo noti, ci fa capire che non riesce a guardare a lungo termine, che non realizza le conseguenze delle sue azioni. Qualunque cosa possa ottenere in un dato momento, è ciò che conta per lui.

 

RR: In effetti, quando pensa che tutto sia finito, è felice e sente di essere libero.

JP: Esattamente, questa è l’esatta capitalizzazione della sua ingenuità. Può avere commesso crimini importanti ma tutto ciò cui riesce a pensare sono quegli stupidi assegni, per un valore di, forse, 2000 dollari. A quel punto, è totalmente staccato dalla realtà.

 

RR: Tu giri i tuoi film con pochissimi soldi. Due anni fa mi hai detto: «Dateci 20’000 dollari e vi daremo il Fast and Furious migliore»…

JP: Verissimo…

 

RR: Avverti mai l’esigenza di lavorare con budget più importanti o non ti importa?

JP: Penso che la cosa più importante sia il controllo. Credo che i soldi siano meno importanti del controllo. A un budget più alto può corrispondere un minore controllo, più mani in pasta, più persone che dicono cosa fare e vogliono prendere decisioni al posto nostro. Con più soldi potremmo guadagnare di più, non dovremmo preoccuparci di dover lavorare per un’agenzia che si occupa di mutui. Oggi siamo fortunati, al punto di poter vivere con il cinema e con la produzione, ma non è sempre stato così. La nostra speranza è che potremo lavorare con più mezzi essendo nel contempo capaci di mantenere il controllo, vivendo grazie al nostro lavoro. Se ci dessi 20’000 dollari, comunque, faremmo un fantastico Fast and Furious.

 

Buzzard_prod09Joshua Burge (foto: Adam J. Minnick)

 

RR: Sob Noisse lavora come una sorta di “factory”, come quelle che conosciamo dagli anni ’60 e ’70. È un modo diverso di vedere il cinema…

JP: Si, è ciò che vogliamo.

 

RR: Perché voi lavorate davvero insieme, sempre in stretto contatto in ogni fase della produzione.

JP: Sì, nella maggior parte dei nostri film mettiamo insieme le nostre idee. Le persone che sono presenti in pre-produzione, sono poi sul set e prendono decisioni anche dopo che il film è stato girato. Non c’è dramma né cattivo sangue tra nessuno di noi, siamo tutti amici..

MS: All’incontro con il pubblico per Listen Up Philip (presentato al festiva di Locarno in concorso quest’anno. Ndr.), ho chiesto al regista Alex Ross Perry, che aveva diretto in precedenza un piccolo film come The Color Wheel, come fosse stato lavorare con più mezzi e lui mi ha risposto di essere stato fortunato con il suo film perché tutti andavano d’accordo. Questo è ciò che accade con Sob Noisse: siamo veloci e andiamo d’accordo. Sarebbe bello lavorare con budget più alti e avere attori davvero professionisti cui dire: «Fateci vedere cosa sapete fare», senza che ci sia una conoscenza di 20 o 30 anni. Persone professioniste che semplicemente comprendono il loro ruolo.

JP: Questo sarebbe per i ruoli secondari. Non ingaggiare una squadra enorme da New York o Los Angeles significa andare contro il sistema. Abbiamo provato un nuovo modo per farlo ed è andata bene fino a qui. Quindi, perché cambiare qualcosa che funziona così bene? Non siamo pronti a fare un film come Transformers di Michael Bay, con una troupe di 300 sconosciuti. Non voglio farlo.

 

RR: Ape aveva come personaggio principale un cabarettista, Buzzard un impiegato a termine in una società di mutui. Sei stato entrambe le cose, in passato. Possiamo dire con una certa sicurezza che hai un approccio autobiografico ai personaggi. Quindi, cosa succederà in futuro? Lo chiedo perché so che hai già qualcosa in mente.

JP: Sì, a dire il vero c’è già… Potrei descriverlo – e lo farò – ma non suonerà autobiografico all’inizio. Però penso che la parte autobiografica riguardi il sentimento. Il prossimo film sarà su un moderno alchimista, qualcuno che vive in una palude cercando di riportare in vita l’antica scienza di trasformare il piombo in oro. Io non ho mai provato a trasformare il piombo in oro, non ho mai vissuto in una palude, non sono un alchimista. Ma questo è ciò che superficialmente la storia tratta. Vedremo i sacrifici che attraverserà per raggiungere il suo irraggiungibile – o forse raggiungibile – obiettivo. Come un artista che lotta. È eccitante vedere la direzione che prenderà.

 

RR: Inizierete presto a girare?

Stiamo ancora cercando di capirlo. Stiamo ancora lavorando sulla sceneggiatura. Stiamo ancora cercando di capire quale sarà la prossima mossa. E, in mezzo, potrebbe capitare qualsiasi altra cosa. Ho appena terminato la trilogia sugli animali e stiamo forse pensando a una nuova trilogia. Quindi, questo sarebbe un film a sé stante, un film differente. La trilogia sugli animali è ambientata in una sorta di luogo urbano del Midwest. Con il prossimo, tentiamo di fare qualcosa di completamente differente, comunque mantenendo coinvolta la stessa squadra.

MS: L’ambientazione sarà comunque il Midwest, solo una sua parte diversa.

JP: Un diverso tipo di decadimento … invece di un decadimento del cemento, quello degli alberi. È solo una sensazione diversa, diversi colori, nel senso più ampio del termine.

 

Buzzard_prod15(Foto: Jon Clay)

 

RR: Come scrivi abitualmente, segui un tuo metodo, ti poni una scadenza?

JP: Non ho davvero un metodo, è sempre differente. Buzzard è stato accuratamente calibrato per mesi, perché c’erano soldi e alcune specifiche motivazioni che andavano coperte. Di solito, però, non lavoro così. Per Ape, ho iniziato a scrivere senza sapere dove la sceneggiatura sarebbe arrivata. Questo e il modo più divertente di scrivere: sorprendere te stesso e affrontare il viaggio con i personaggi. Ho appena scritto una sceneggiatura horror che è partita con una sinossi di 10 pagine dense che si sono sviluppate in una sceneggiatura. La sceneggiatura che sto scrivendo è tutta su foglietti volanti. Ogni volta che mi viene un’idea per una scena, la scrivo su un foglietto. Da lì, poi, scrivo una scena alla volta in Final Draft. Non nemmeno mai avuto un metodo costante di scrivere: un giorno non scrivo nulla e poi mi lancio in un’ubriacatura di quattro giorni, stando sveglio tutta la notte a scrivere. Con la scrittura non c’è nulla di peggio che forzarsi. Però talvolta devi dare una spinta al processo. Io scrivo sempre idee sul mio telefono o su un blocchetto, quindi ho sempre almeno una solida idea da cui partire. È guardando film che normalmente mi vengono le idee. Tendo a rubare molto e poi dare una forma secondo la mia visione del mondo.
Comunque farei molto di più se non fosse per le distrazioni che offre internet.

 

RR: Quando scrivi, accetti suggerimenti sulla sceneggiatura da parte delle persone con cui lavori? E ti capita mai di modificare sostanzialmente la sceneggiatura nel corso delle prove con gli attori?

JP: Come prima cosa sottopongo sempre le mie idee e le mie bozze ai ragazzi di Sob Noisse. Sono i miei collaboratori più stretti e la mia band filmica. Parliamo di qualsiasi cosa, dalla sceneggiatura ai costumi, dalla posizione della camera a quale aroma di Dorito sarebbe perfetto per la scena. Abitualmente, mostro le mie prime bozze a una manciata di persone di cui mi fido. Se troppe persone danno la loro opinione, talvolta si crea il caos e diventa difficile trovare le note giuste.
Le prove con gli attori rappresentano un’ulteriore fase del processo di scrittura. Mi piace improvvisare nel corso delle prove e quindi cambiare per vedere se una scena prende una direzione diversa. Sono totalmente aperto ad ascoltare l’opinione di chiunque sia presente nella stanza. Anche se talvolta sono consapevole di essere un maniaco del controllo, pensarla così è la cosa migliore. Joshua ed io abbiamo avuto un sacco di nuove idee e nuovi ritmi durante le prove per Buzzard, che sono durate otto mesi. È lì che il film ha iniziato a prendere vita. Io il film posso solo scriverlo, sta poi a Joshua dare respiro ai personaggi. Ho bisogno di un attore come lui: qualcuno con anima e umanità e l’abilità di capire cosa tento di dire.

 

RR: Hai usato Joshua Burge come protagonista dei tuoi film più recenti. Quando scrivi una sceneggiatura scrivi già pensando a lui o cerchi di sfidarlo attraverso nuovi personaggi?

JP: Non scrivo mai per lui. Lo facessi, temo sarebbe troppo facile per lui. Penserei alla sua voce, al suo comportamento. No, non sarebbe una sfida per lui e sarebbe comunque poco cinematico. Solitamente le voci dei miei personaggi sono le stesse che ho nella testa. Questo mi piace molto. Nella mia testa so come appare il personaggio, so come suona, come sente. Quindi lo affido a Joshua e lui lo interpreta. Alla fine, ciò che ne risulta è un ibrido tra ciò che ha lui in testa e ciò che ho io nella mia. Lui da corpo e voce a ciò che tentiamo di fare. Lui non è il protagonista stereotipato, dalla bellezza abbacinante come quella di Brad Pitt, ma io sceglierei Joshua contro Tom Cruise in qualsiasi momento. E non solo per il suo aspetto unico, la sua apparenza unica, i suoi modi unici…

MS: ui ha un sacco di sottigliezze fisiche, ne è consapevole, e fa sempre centro.

JP: Quando scrivo un personaggio e glielo affido, lui porta sempre qualcosa di nuovo. Qualcosa di eccitante che non potrei mai scrivere e nemmeno immaginare.Quindi è perfetto.

 

RR: Ti ho posto questa domanda a causa della scena degli spaghetti. È molto diversa da ciò che hai fatto nei tuoi film precedenti. Mi sono chiesto se gli lasci mai lo spazio per improvvisare.

JP: La storia è così: stavamo girando e sapevamo che la scena successiva sarebbe stata quella e che si sarebbe svolta su un letto.
Quindi, ci siamo presi una pausa per cena e Joshua ha mangiato fish & chips. Una cena completa. La sceneggiatura diceva: «Marty ha il migliore recipiente di spaghetti della sua vita ed è felice». Era descritta in modo vago, quindi ho detto a Joshua: «Bene, prendi il recipiente di fronte a te e dai un morso. Sarà tutto». Lui ha messo in bocca più di quanto avessi pensato e continuava a farlo mentre mi guardava aspettando che dessi lo stop. E io lo stop non lo davo e gli dicevo: «Magari un altro po’». Volevo vedere come sarebbe andata avanti e Joshua – questo spiega perché è il nostro uomo ed è sempre coinvolto nei nostri film – è andato avanti a strafogarsi di spaghetti e polpette. Quattro o cinque minuti dopo stavo pensando a come chiudere la scena e gli ho detto: «Joshua, ridi!». Lo abbiamo abbracciato. La scena non era affatto in sceneggiatura. E poi, dopo una cena così importante, l’ho fatto saltare sul letto. La parte divertente consiste nel torturarlo un pochino perché lui è sempre un ottimo compagno e non si lamenta mai. È stato pazzesco guardare la scena di persona. Ho pensato: «Non mi importa se alla gente piacerà o meno, questa scena andrà nel film perché è la migliore».

 

Buzzard_prod14(Photo: Jon Clay)

 

RR: Non sapevo della cena. È una scena gioiosa, in effetti. Gioiosa e crudele.

JP: Sì, magari non gioiosa per lui. Però penso sia una delle scene più importanti perché è l’unica in cui Marty sia pulito. Indossa un costoso accappatoio pulito, è in un hotel di lusso, è felice e ride. È l’unica volta in cui è felice. È un ponte nel film, prima che diventi dark. Volevamo vedere Marty felice in un elemento a lui estraneo. È una scena importante che non è stata scritta come poi è stata girata.

 

RR: u mantieni uno sguardo affettuoso su entrambi i tuoi personaggi principali, Derek e Marty (come del resto avevi fatto con quelli dei tuoi film precedenti). In che posizione ti piace metterti quando scrivi un personaggio?

JP: Credo di essere capace di guardare la prospettiva di ogni singolo personaggio e di capire le loro motivazioni. Comprendo perché Marty è arrabbiato e se la prende con tutti. Capisco perché si introduce nella stanza di un motel in piena notte. Capisco anche perché il proprietario del motel si arrabbia per il fatto di essere stato fregato. Devi solo metterti nella loro posizione per un momento. Non devi essere d’accordo con loro, però devi assolutamente capirli. Se non li capisci, allora non sei sincero. Non c’è nulla di peggio che la menzogna nel raccontare una storia.

 

RR: Nel tuo film, il “sistema” appare vincitore, alla fine. C’è un modo per sconfiggerlo senza essere forzatamente un eroe?

JP: Beh, ho mantenuto ambiguo questo aspettoi Non voglio mai dire al pubblico come deve sentirsi e nemmeno mostrargli qualcosa di falso. Nessuno vince o perde, in modo definitivo, c’è sempre una conseguenza o un altro capitolo della storia. Guerre stellari termina con una fanfara trionfante e gli eroi che ottengono medaglie. Questo è un universo differente dal nostro, letteralmente. È una storia che non dovrebbe essere risolta. Non è onesto nei confronti del pubblico, non ci sono veri eroi e veri cattivi. Io adoro I fumetti della EC, i loro racconti sono molto bianco e nero rispetto a chi è buono o cattivo. Di nuovo, quello è un mondo diverso.

 

RR: Ricordi quando esattamente hai realizzato di voler scrivere e dirigere film?

JP: Crescendo come un bambino amante dell’horror, non ho mai percepito cosa ci fosse dietro al film che guardavo. Non avevo mai realizzato il lavoro del regista fino a quando, a 16 anni, ho visto per la prima volta “Evil Dead” in versione originale. Sembrava fatto a mano in maniera totalmente grezza, come una cosa che avrei potuto fare anch’io. E Sam Raimi è del Michigan pure lui. Mi ha ispirato totalmente, ha cambiato completamente la mia mante. È stato quando ho iniziato a fare i miei piccoli film al liceo che ho capito l’ingenuità delle sue riprese, del suo lavoro. Ho speso anni a cercare di emulare il suo stile. Dopo questo, ai tempi dell’università, ho scoperto Stranger Than Paradise di Jarmusch. Era così minimale e cool, l’esatto opposto di Raimi. Ho iniziato a girare piccoli film in 16mm e Super 8 che, inconsciamente, assimilavano Jarmusch e Raimi. Parte di questo approccio al cinema è rimasto nei film che faccio ora.

 

RR: Quando ho scritto a proposito dei tuoi film precedenti, ho usato l’aggettivo punk per sintetizzare la loro libertà, rabbia e irriverenza contro il mondo che circonda i loro personaggi. Qual è la tua definizione di cultura punk oggi?

JP: Beh, una volta che la musica e la moda punk sono state adottate dalla massa, la gente ha iniziato a chiedersi addirittura cosa fosse il punk. Quindi hanno iniziato a dire «Punk is dead». Per quanto possa suonare scontato, il punk non riguarda musica o moda, ma solo l’andare contro la norma, secondo me. Anche il mondo del cinema indipendente sembra così spesso omogeneo. Alcuni dicono che io lavoro fuori da un sistema che è già a sua volta fuori da un sistema. Lo accetto. Non voglio girare film in modo tradizionale, così come non sento di doverci iniettare una storia sentimentale per renderlo più vendibile a un pubblico più ampio, alla stregua di un prodotto. Il cinema punk è un dito medio alzato contro i camion dei macchinisti, le mode e il sentimentalismo. Credo ci sia una nuova corrente di cinema punk in questo momento. Almeno lo spero.

 

RR: Fino ad oggi, hai preso la realtà, ne hai amplificati – ma nemmeno troppo – alcuni aspetti e li hai messi in scena con la tua peculiare ironia. Pensi di continuare a mantenere questo punto di vista anche per i film che seguiranno la trilogia?

JP: È ciò che faccio. Quando inizio a scrivere non mi siedo mai a ragionare sul tono o sui tratti dei personaggi. Tutto viene naturalmente. Però, sono sempre consapevole di quello che io chiamo «il 99%» quando giro un film. Spesso una scena funzionerebbe perfettamente se facessi ciò che viene più facile, una direzione che forse il 99% dei registi prenderebbe. Ma io voglio sempre sfidare me stesso e fare qualcosa di diverso. La maggior parte delle volte, se una scena o una idea possono essere risolte in modo tradizionale, apparirà falsa. Cerco sempre il modo di evitare la via d’uscita più facile da una scena. Credo che manterrò questo stile finché qualcuno inizierà a vedere qualcosa di diverso nel mio cinema. Il pubblico vedrà Buzzard in modo completamente diverso da come lo vedo io. Non posso controllare questo aspetto, fa parte del processo.

 

RR: Hai studiato cinema e giornalismo. Cosa pensi dei critici, sono importanti per te, pensi aggiungano qualcosa al cinema?

JP: Penso che la critica sia assolutamente necessaria. Talvolta hai bisogno di gente istruita e competente che punti il dito contro le stronzate. Talvolta è dura accettare una critica negativa da un critico importante ma fa parte del processo. Ovviamente, è stupendo quando incensano ciò che hai fatto. Non conta quanto duro e puro un artista pensi di essere, sarà comunque condizionato dalla critica. Non farei mai un film per ingraziarmi un critico ma questo, inconsciamente, trova uno spazio nella mia testa. Pensare a come un critico reagirà a una certa idea che porto sullo schermo è inevitabile. Apprezzo la critica come una forma d’arte a sé. Ovviamente, c’è una grossa differenza tra Roger Ebert e Perez Hilton.

 

Buzzard_prod03Joshua Burge

 

RR: Uno studio di Hollywood ti offre tutto ciò che ti serve per girare il remake o un nuovo capitolo di un film di cui esiste una serie (penso a Halloween o Friday 13th”). Libertà totale, anche se so che non è possibile. Accetteresti? E che che film vorresti fare?

JP: Certo che lo farei! Non c’è miglior modo per sovvertire un sistema che infiltrarlo e scardinarli dal suo interno. Sto scrivendo una sceneggiatura che segue Jason Voorhees nella sua quotidianità attraverso ognuna delle quattro stagioni. Molto minimale, malinconico e selvaggio. Sarebbe fantastico. Ma è anche qualcosa a cui uno Studio non darebbe mai l’approvazione. Non credo che le mie storie si tradurranno mai in un film da grande Studio. E dubito che chiunque prenderebbe sul serio il mio approccio neorealistico a una famiglia di Tusken Raiders (personaggi di finzione di Guerre stellari,. Ndr.).

 

RR: C’è una notizia, una notizia strepitosa: il film ha una distribuzione!

JP: Il film è stato acquistato prima della sua proiezione al SXSW (South by Southwest, festival musicale e cinematografico che ha luogo ad Austin dal 1987). È una grossa cosa per noi. È eccitante perché è la prima volta che abbiamo un agente per la vendita, una compagnia che cerca di vederlo nel resto del mondo anziché essere io a scrivere ai distributori. Uno dei momenti più emozionanti, dopo avere girato, è quando non sai se il film piacerà ai critici, ai distributori… Ora vedremo cosa succederà.

 

RR: Mike, qual è stata la reazione al film al SXSW?

MS: Buzzard è stato accolto davvero bene al SXSW. Il pubblico era un mix di appassionati di film d’arte e metallari fumati. Credo che il film si rivolga a entrambi i pubblici. Un sacco di metallari amano il cinema. È un festival difficile perché vi accadono molte cose. Mostrare il film al MoMa o al Lincoln Center è stato un seguito sorprendente perché il pubblico era amante delle arti e sono rimasti seduti di fronte a quell’esplosione di musica metal e di comportamenti idioti e hanno capito il film. È stato eccezionale.

 

RR: Joel, avverti attenzione intorno a te ora?

JP: Lo spero. Penso che la gente stia iniziando a capire che proviamo a fare qualcosa di diverso. Idealmente, potrebbero imparare dal nostro modello, speriamo che sia di ispirazione per fare ciò che desiderano con il coinvolgimento dei loro amici, senza il bisogno di sottostare alle regole dell’industria e ingaggiando troupe enormi. Penso che la gente stia iniziando a notare Sob Noisse e ciò che stiamo facendo.

 

RR: Io credo esista uno stile riconoscibile “indipendente americano” e che voi siate totalmente diversi.

JP: Qualcuno ha detto che non siamo differenti solo dal sistema degli studi di Hollywood ma che stiamo lavorando al di fuori anche del sistema che ne sta fuori. Stiamo andando contro ciò che abitualmente fanno i cineasti indipendenti. E questo è fantastico!
Parte di questo dipende dal fatto che siamo lontanissimi da New York e Los Angeles e parte perché facciamo le cose nel modo in cui pensiamo vadano fatte. Non guardiamo a nessun altro, non cerchiamo di emulare qualcun altro. Facciamo semplicemente le cose nel modo in cui sappiamo e vogliamo farle. Non c’è nessuno che ci dica: «State facendo nel modo giusto o sbagliato».

 

RR: Quindi, l’idea di fare del Michigan il posto ideale per il vostro cinema è riuscita, vi ha dato tutta la libertà che vi serviva.

JP: Esattamente.

MS: Il Michigan è un posto davvero economico. È economico fare un film qui, non devi preoccuparti di ottenere permessi e la gente è molto generosa. Per esempio, il fabbro cui Marty si rivolge per farsi duplicare le chiavi, è vero. Li ho chiamati per chiedere se avremmo potuto girare lì ed erano semplicemente eccitati. Hanno risposto: «Certo, venite!». E non ci hanno fatto pagare nulla. Dovevamo solo girare una scena ma il commesso continuava a dire: «Volete davvero la chiave?». Erano felici di avere persone che giravano un film lì. Hai il beneficio economico ma anche persone che non capiscono cosa stai facendo. Alla fine, se sei tranquillo e sai come parlare alla gente, è un posto stupendo. Le persone sono umili e amichevoli.

 

RR: Come ho già avuto occasione di dirti, sono sicuro che i tuoi film sarebbero amati in Europa. Del resto, ne hai avuta una prima prova partendo da Ape. In quale modo, secondo te, differiscono le reazioni tra il pubblico europeo e quello statunitense, sempre che differiscano in qualcosa?

JP: Ci è voluto molto tempo perché riuscissi a portare il mio lavoro in Europa. Ho sempre pensato che il genere di film che faccio sarebbe piaciuto oltreoceano. I due pubblici sono molto diversi: l’Europa sembra apprezzare gli aspetti più surreali del miei film e ride per altre cose. Talvolta il pubblico statunitense si aspetta di più dalla trama e attende che nella storia subentri un plot sentimentale. Ma io non lavoro così. A dire il vero, però, Buzzard sembra essere il mio primo film che viene accolto allo stesso modo sia qui che in Europa. Il pubblico di Locarno ha riso alle stesse scene di quello del SXSW. Alcune tra le scene più oscure e violente risultano astratte e bizzarre al pubblico europeo, che ride e applaude alle esplosioni di violenza di Marty. Il pubblico statunitense tende a scioccarsi più facilmente e addirittura ad arrabbiarsi con me. E questo è proprio il modo in cui l’arte dovrebbe funzionare. Dovrebbe sfidare ed essere aperta alle più disparate reazioni. Non voglio dire al pubblico come deve sentirsi.

 

RR: Torniamo per un attimo all’era dei Drive-in. Se potessi scegliere un altro film da affiancare a Buzzard per una proiezione “double-bill”, cosa sceglieresti?

JP: Questa è una domanda insidiosa. Una parte di me penserebbe a qualcosa di simile, come Taxi Driver di Scorsese o addirittura The Comedy di Rick Alverson. Però, queste sarebbero scelte troppo facili e sicure. Allora ti rispondo che mi piacerebbe affiancarlo a qualcosa come, forse, I Hired a Contract Killer di Kaurismäki o Mahakaal (Shyam Ramsay e Tulsi Ramsay, 1993. Ndr.). Assolutamente Mahakaal!

 

RR: Devo assolutamente sapere da dove vengono i manifesti che si vedono nella camera di Marty.

JP: Abbiamo trovato un appartamento vuoto e un amico – a dire il vero, il protagonista di Gordon – è venuto a visitarci. È entrato nella stanza di Marty e ha detto: «Insomma Joel… hai solo trasferito la tua stanza in quella di Marty?». Quelli sono tutti miei manifesti, gli stessi che ho nella mia stanza. È da lì che vengono molte cose. Mi piacciono quei film e sono le stesse cose che piaceranno a Marty, quindi…

 

RR: Hai il manifesto francese di Return of the Living Dead!

JP: Oh, si! Ti darò un’altra esclusiva, una cosa che non ho mai detto a nessuno prima: quando Ape era in giro per i festival, il film che si accaparrava tutti i premi era Leviathan di Lucien Castaing-Taylor e Verena Paravel. Nel 1988 è uscito un film horror con lo steso titolo con Peter Weller, quello di Robocop. Se guardi attentamente la scena in cui Marty indossa la maschera da diavolo, vedrai il poster di Leviathan – quello americano – con quattro graffi… i graffi fatti con il guanto di Marty.

 

Buzzard_prod10(Foto: Adam J. Minnick)

 

RR: Mike, hai lavorato come produttore associato sin dai tempi di Gordon, nel 2007, e come produttore in Buzzard. Raccontami di queste esperienze e di come sono iniziate.

MS: Gordon è stato certamente l’inizio di qualcosa con Joel e il suo cinema che andava oltre il lavoro di uno studente. Il mio coinvolgimento creativo con Joel risale a prima di “Gordon” però. Penso sia stato nel 1996 o 1997, quando ho incontrato Joel a scuola per la prima volta. Stava montando un progetto in 16mm cui aveva lavorato con mio fratello Tim. Tim e Joel avevano lavorato insieme ad alcuni lavori che Tim mi aveva mostrato. Uno tra questi rompeva intenzionalmente con ogni regola del montaggio, per mostrare che avevano capito il concetto tradizionale di fare cinema.
In seguito divenni amico di Joel e dei suoi compagni perché abitavamo in un complesso di appartamenti per studenti. Loro passavano un sacco di tempo sotto il portico con enormi maschere di Gizmo (il Gremlin buono del film di Joe Dante. Ndr.), sventolando le braccia per salutare gli altri studenti che tornavano da scuola.
I miei coinquilini ed io pensavamo che fosse esilarante. E loro avevano anche un bellissimo poster de Il cacciatore che si vedeva dall’esterno. Adam Minnick, il direttore della fotografia di Buzzard, viveva con Joel in un appartamento. Quindi diventammo amici. Eravamo in generale piuttosto sfigati e molte delle scene tra Marty e Derek provengono da come vivevamo allora.
È stato sempre a quel tempo che ho incontrato Joshua. Suonava canzoni folk nel caffè dove gli studenti andavano. Il suo modo di scrivere canzoni era milioni di chilometri più avanti di chiunque altro in quel tempo. Tutti lo chiamavano il prossimo Bob Dylan. Era coinquilino di J.P. Sniadecki.
Joel e il nostro buon amico John Curtis avevano una band che si chiamava Poodle Metal, che era fortemente ispirata ai primi Ween ed era molto divertente e bizzarra. Hanno registrato due album su cassetta e in seguito abbiamo avviato una nuova band con cinque componenti intorno a quel progetto. Io suonavo le tastiere con lo pseudonimo di Outo Bol, un nome che ho usato anche per alcuni progetti di Sob Noisse. Abbiamo suonato in zona e realizzato alcuni video che erano nello stile di The Office. In quel periodo Joel stava registrando alcuni pezzi come solista, con il nome Zoozersadd. Si trattava di materiale molto cool basato su campionamenti. I video che ha girato per questo progetto solista sono cose fantasistiche e molto minimaliste. Io suonavo come Mister Squidd e capitava di suonare e fare jam session insieme, è stato molto divertente.
Nel frattempo, Joel ha scritto un romanzo, insegnato inglese nella Repubblica ceca, tentato di diventare cabarettista a New York e si spostava da uno Stato all’altro lavorando negli stadi di baseball. Io mi sono laureato, avviato una compagnia di produzione che si occupava essenzialmente di pubblicità e ho registrato molte band. Joshua, da par suo, era stato in giro parecchio pure lui, cantando a New York, vivendo a South Bend (nello stato dell’Indiana. Ndr.) e cercando di essere un cantautore vagabondo. Il tutto, sempre scrivendo ottime canzoni.
Nel 2005 mi sono sposato a Alpena (città del Michigan. Ndr.) con mia moglie Sarah. Lei è di lì. Abbiamo avuto un matrimonio hippy nel bosco e Joshua ha suonato per noi. Molti ospiti hanno campeggiato a casa di Joel.
Intorno al 2006 ho iniziato a suonare con Joshua nella sua band Chance Jones, sempre con il nome Outo Bol. Joshua aveva creato un personaggio sorprendente e selvaggio sulla scena. A questo punto ci eravamo più o meno stabiliti tutti a Grand Rapids e Joel era intenzionato a realizzare un film in Super 8. Organizzava tutto lui e io gli ho dato una mano perché era sempre molto divertente. Io e mia moglie Sarah scrivemmo le musiche. Sinceramente ricordo molto poco della produzione di quel film. Era molto libero e Joel si era assunto gran parte della responsabilità sulle sue spalle. Ricordo solo che era molto freddo quando lo abbiamo girato. Ero molto soddisfatto del film e volevo essere di maggiore aiuto per il prossimo. Joel aveva finanziato l’intero progetto e tutte le persone coinvolte avevano partecipato perché era divertente.
Dopo Gordon, Joel scrisse Coyote, in cui sono stato sicuramente molto più coinvolto. Ho preso il progetto molto più sul serio perché mi era piaciuto molto “Gordon” ma anche perché Joel e Joshua avrebbero lavorato insieme e pensavo che sarebbe stata un’ottima collaborazione. Sembrava una vera jam session. L’organizzazione generale era ancora molto nelle mani di Joel. Io ho aiutato con la ricerca delle ambientazioni e ho avuto un paio di idee che poi sono confluite nel film. Sono ancora molto orgoglioso di “Coyote” è stato eccezionale vedere due tra i miei migliori amici dal talento così grande eccellere in quel modo.

 

RR: Sono trascorsi sette anni tra Gordon e Buzzard. Puoi raccontarmi, in qualità di diretto testimone, cosa è cambiato dal tuo punto di vista e cosa è cambiato per le persone con cui lavori?

MS: Quando si è iniziato a parlare di “Ape”, sembrava un progetto follemente complicato. Di nuovo, Joel gestiva la maggior parte del progetto. Io ho aiutato con il casting e con compiti basilari della squadra tecnica. A dire il vero, avevo anche un ruolo parlante in una sottotrama che è poi stata eliminata al montaggio. Il nome del mio personaggio era quello di Martin Short. In questo caso, Joel iniziava a fare circolare la sceneggiatura per avere suggerimenti. È qui che Ashley Young e Kevin Clancy sono stati coinvolti. Io ero più coinvolto nell’aspetto musicale del progetto perché c’era molto Hip Hop. Io lavoro come DJ e organizzo spettacoli di Hip Hop, di cui amo la cultura, quindi è stato molto divertente. Devo ringraziare il mio amico Justin Weeks per avere fornito alcune tracce rare e inedite per la colonna sonora di Ape.
Dopo il successo di Ape, abbiamo tutti iniziato a prendere più seriamente ciò che stavamo facendo. Comunque continuavamo a divertirci ed eravamo molto eccitati per quanto riguardava la nuova sceneggiatura. Molto di ciò che Joel aveva scritto ci era molto familiare. Il giorno che ho ricevuto la sceneggiatura l’ho scomposta per pensare a personaggi e ambientazioni. Abbiamo iniziato quasi immediatamente a provare e con le prove sono venute le riscritture. Trovarci per le prove e per le riscritture è stato fantastico, sembrava davvero che fossimo una band. Lavoravamo a un livello di professionalità così alto…
Joel era migliorato nel delegare alcuni compiti che prima si sarebbe assunto, Ashley è super organizzata ed era di aiuto nel rimanere concentrati. Io sono riuscito a trovare I luoghi dove girare e organizzare alcuni provini. È stato sorprendente per noi notare come le persone volessero sottoporsi ai provini e prendessero seriamente il progetto. È stato anche più facile trovare investitori. Joshua ha preso molto sul serio la sua recitazione: e si vede! Ci sono così tante sfumature nelle sue espressioni.
È stato stupendo lavorare alla scenografia, penso che l’appartamento di Marty sia cool da morire e la Party Zone di Derek è semplicemente esilarante.
È stato così divertente pensare a come avrebbe potuto essere il mondo di Derek. Adam Minnick si è aggiunto come direttore della fotografia e questo è stato un deciso passo avanti rispetto a Ape. Lui ha creduto tremendamente nel progetto e ha sacrificato molto tempo e soldi nel trasferirsi da Austin, Texas, a Grand Rapids, Michigan, per un mese.
So che può sembrare una risposta molto lunga ma sono certo di avere comunque dimenticato qualcosa.

 

RR: In cosa consiste il tuo apporto in ambito creativo?

MS: Il mio apporto in ambito creativo è difficile da definire. Io offro molti riscontri sulla sceneggiatura e mi piace aggiungere un alto tasso di follia. Sono piuttosto orgoglioso della “Party Zone”, ho speso molto tempo nello scantinato dei miei genitori per farlo sembrare come fosse quello di Derek. Ho spinto molto affinché Joel si assumesse il ruolo di Derek, quel personaggio era talmente nelle sue corde comiche ed ero certo che avrebbe saputo gestire bene anche la tristezza del personaggio. Sono stato molto felice che abbiamo potuto coinvolgere anche TRPL BLK (artista Hip Hop di Brooklyn, New York) nel ruolo del fabbro e Dopehead e Zelooperz per il concerto Hip Hop. Loro sono parte di una crew di Detroit che si chiama The Bruiser Brigade e ho spesso organizzato esibizioni per loro a Grand Rapids. Avere la loro energia creativa in questo progetto è stato molto eccitante per me.
Sento di lavorare al meglio in Sob Noisse quando facilito il lavoro per Joel e quando posso iniettare nella sceneggiatura un po’ di carburante.

 

RR: Gli altri produttori sono Ashley Young e Kevin Clancy. Quali sono le differenze tra voi nel contribuire ai progetti?

MS: Kevin è stato coinvolto in quanto amico di Joshua dal riconosciuto talento. Ha aiutato a trovare finanziamenti per “Ape”, recitato nel film e partecipato alla squadra tecnica. Stessa cosa per “Buzzard”, per cui ha fornito anche riscontri sulla sceneggiatura, aiutato con le ambientazioni e reso disponibile come sostituto nel caso un attore non si fosse presentato. Kevin è anche un grande risolutore di problemi e una persona molto positiva da avere attorno. Ashley aiuta nel fare rispettare i tempi, nel mantenere organizzate le informazioni e nel ricordarci ciò che abbiamo e ciò che ci serve.

 

RR: Quali sono stati i film che più hai amato crescendo o i film che hanno contribuito maggiormente alla formazione della tua cultura?

MS: Da bambino ho amato molto Star Wars (Guerre stellari, George Lucas, 1977), Pee Wee’s Big Adventure (Tim Burton, 1985), The Terminator (James Cameron, 1984), Ghostbusters (Ivan Reitman, 1984), The Jerk (Lo straccione, Carl Reiner, 1979).
Noleggiavo anche i classi film con mostri come Dracula (1931), Frankenstein (1931), Creature From The Black Lagoon. Mia madre guardava film come “Double Indemnity” (“La fiamma del peccato”, Billy Wilder, 1944) e The Postman Always Rings Twice(Il postino suona sempre due volte, Tay Garnett, 1946), che mi sono sempre piaciuti. Amo profondamente It’s a Wonderful Life (La vita è meravigliosa, Frank Capra, 1946).
Crescendo, quando ho iniziato a voler studiare cinema, Pulp Fiction era un enorme successo ma ha anche creato una vasta corrente di ragazzi che, alla scuola di cinema, si comportava come fossero Tarantino. Ventenni teste di cazzo che parlano in fretta… niente di peggio.
Amo Kubrick, soprattutto A Clockwork Orange (Arancia meccanica, 1971); Scorsese, ho visto Taxi Driver un milione di volte. Paul Schrader è di Grand Rapids e una volta è venuto a parlare ed è stato straordinario. I film di John Carpenter sono fantastici. George Romero, Night of the Living Dead, Dawn of the Living Dead e Day of the Living Dead sono stupendi e così anche Martin.
Mi piace Nightmare on Elm Street, l’intera serie, ho odiato il nuovo però. Amo la nouvelle vague francese, Weekend di Godard è uno tra i miei preferiti. Mi sono addentrato in Bergman e scritto molte pagine su Wild Strawberries (1957) (Il posto delle fragole, 1957). Ho molto amato anche Eisenstein, grazie a mio fratello. Mi piacciono in generale i film fortemente politici. Throne of Blood di Kurosawa è meraviglioso. American Movie è un ritratto molto realistico degli alienati del Midwest che riconosco totalmente. Joel mi ha fatto conoscere i film di Alan Clarke: Scum, Elephant e Made in Britain sono fantastici. Mi piace molto Holy Mountain di Alejandro Jodorowski. Mi piacciono anche cose strane come The Beaver Trilogy, Basket Case, Deadbeat at Dawn. Ho appena visto Il Demonio e mi ha sconvolto.
Per quanto riguarda il cinema contemporaneo, ho amato Tower di Kazik Radwinski, The Last Time I Saw Macao di João Rui Guerra da Mata e João Pedro Rodrigues. See You Next Tuesday di Drew Tobia è fantastico, così come The Iron Ministry di J.P. Sniadecki. Mi è piaciuto The Color Wheel di Alex Ross Perry.

 

RR: Ora che il film ha una distribuzione, cosa pensi che cambierà?

MS: Sinceramente, non ho una conoscenza dell’aspetto distributivo tale da poter dare un’opinione. So solo che è un processo lento e frustrante.
È fantastico che Oscilloscope abbia preso il film per la distribuzione in Nord America. Uscirà nell’inverno del 2015. Hanno capito il film e hanno un ottimo catalogo di cui è bello fare parte. Abbiamo anche un agente per la vendita nel resto del mondo, Media Luna. Anche loro hanno capito il film e ci sentiamo molto bene con loro. Factory 25 è stata eccezionale con “Ape” e anche loro hanno un catalogo di cui ci piace fare parte. Sono grato nei confronti di chiunque si interessi al nostro film. Non sono arrabbiato con nessuna persona e nessuna distribuzione in particolare, trovo solo che faccia schifo che per il cinema indipendente la situazione sia così dura in generale. Abbiamo avuto buone recensioni e qualche premio ma, per quanto riguarda la possibilità di guadagnare qualcosa, è stata una delusione. Forse, nella mia testa, ottenere una recensione positiva da A.O. Scott dovrebbe accompagnarsi con una sostanziosa busta paga.

 

RR: Lavoreresti – con Sob Noisse – a progetti altrui? E, se sì, pensi che riusciresti a mantenere lo stesso approccio che hai con i film di Joel?

MS: Lavorerei senz’altro con altre persone, dovrei solo credere in ciò che fanno. Per quanto riguarda la possibilità che Sob Noisse produca un film che non sia di Joel, mi piacerebbe molto. È molto difficile, però, essendo noi a Grand Rapids. Joel e Joshua sono stati eccezionali nel portare altri cineasti a Grand Rapids per lavorare ai loro progetti. Io mi offro sempre di leggere e dare la mia opinione su sceneggiature altrui. Lo farei per chiunque, mi piace ascoltare le idee delle persone. Le uniche che mi abbiano accettato in questo senso sono state J.P. Sniadecki e Nony Geffen. Non vedo l’ora che esca il film di Nony Y Elephant. Purtroppo, non mi è possibile essere coinvolto in altro modo in quel progetto perché verrà girato a Tel Aviv. Inoltre, a parte le mie osservazioni sulla sceneggiatura, dubito che Nony possa avere bisogno di me. Sa ciò che fa. Io, Joshua e Sniadecki abbiamo un progetto insieme. Non posso dire molto in proposito se non che ci crediamo molto. Ci vorrà del tempo per portarlo a termine ma sembra un progetto molto Sob Noisse per come vi confluiscono le idee. Anche Joel è stato coinvolto, ha condiviso le sue idee ma rimane un progetto di J.P. Mi piacerebbe molto lavorare a un film con João Rui Guerra da Mata e João Pedro Rodrigues o Drew Tobia.

 

 

Agosto-Settembre 2014

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